(fonte Quotidiano Trentino, di Paolo Trentini – Domenica 7 glugno 2009) – AVIO. Più coesione tra ente pubblico e privati, grande attenzione al territorio, alla salvaguardia dei terreni e dell’ambiente circostante e un’occhio anche al rapporto tra qualità e prezzo del vino venduto. Il convegno “Vino: la qualità come progetto territoriale” si è chiuso con la degustazione di un ottimo San Leonardo, ma nella tenuta di Borghetto in precedenza c’è stato spazio e tempo per discutere sulla situazione attuale del vino, dalla produzione fino alla vendita nel mercato internazionale.Bruni_Licodia_Eubea15
Organizzato dallo Snodar (Sovrano e nobilissimo ordine dell’antico recioto) con la Confraternita della vite e del vino di Trento, era il quinto incontro della serie. Giornalisti ed esperti, riuniti attorno ad un tavolo, portavano le proprie esperienze in tema di enogastronomia e viticoltura. Paolo Bruni, presidente di Fedagri, la Federazione nazionale delle cooperative agricole e alimentari, parla di costi e qualità: «Il vino e il turismo enogastronomico, che sinora non ha risentito della crisi, muovono un giro d’affari sui 250 milioni di euro. E’ importante continuare ad offrire prodotti dallo standard qualitativo molto alto». Ma la qualità non è l’unico aspetto da tenere presente: «Non basta fare ottimo vino per vendere: dei 48 milioni di ettolitri prodotti annualmente resta invenduta circa la metà. E per riuscire a vendere più possibile bisogna avere un ottimo rapporto qualità/prezzo. Più competitività e costante innovazione sono carte che le aziende trentine e italiane possono giocarsi per sfondare sul mercato internazionale». Dello stesso avviso Fabio Piccoli, giornalista ed esperto enologo veneto, che punta sul branding: «La qualità non basta per garantirsi la sopravvivenza sul mercato. Per essere competitivi ci vogliono anche elementi che rendano facilmente riconoscibile il nostro vino. Penso alle caratteristiche uniche di territori come quelli della Bassa Vallagarina o della terra dei Forti, capaci di abbinare al buon vino paesaggi spettacolari. Elementi che aumentano l’appetibilità del prodotto». Enzo Merz, presidente della Confraternita della vite e del vino di Trento punta il dito contro i viticoltori che troppo spesso si preoccupano più della quantità che della qualità. Bisogna trovare una produzione adeguata, senza che la vite sia stressata troppo. Significativo il confronto con la Francia, dove le viti vivono anche 80 anni mentre in Italia vengono sostituite dopo 20-25. Per l’assessore provinciale Mellarini e Tiziano Bianchi è la viticoltura in quota l’elemento distintivo dei vini trentini: «Il recupero dei vigneti nelle zone montuose, come la zona di Ronchi, le valli del Leno, Castellano e Brentonico, sono validi esempi di come si possa fare vino di qualità ad alte quote. Negli anni settanta gli ettari coltivati a vite nei luogi montani erano una decina, oggi sono quasi 500. In questi ultimi cinque anni si sono recuperati all viticoltura 400 ettari di terreno. Per raggiungere l’obiettivo è però necessario unirsi tutti assieme: operatori, pubblico e privati». Peculiarità sottolineate anche da Franco de Battaglia. Secondo il quale «l’incontro serve per riconoscere una terra comune che va interpretata, amata, fatta conoscere e non più indicata come un incontro tra le due “periferie” del basso Trentino e alto veronese. Qui, dove finisce il mondo alpino e inizia la pianura, Napoleone ha colto una delle sue più luminose vittorie, gli Asburgo ne hanno fatto la porta del loro impero. Qui sono stati rintracciati i vitigni autoctoni più antichi, rustici ma affascinanti, e nascono i vini rossi più celebrati e raffinati d’Italia».