La crisi del vino, come tutte le crisi, non è solo una parola, non è solo un titolo di giornale. E’ anche conti che non tornano, costi e ricavi che non quadrano. Insomma è una cosa seria, anche in Trentino dove non bastano tutti i paracadute messi in piedi da mamma Provincia per attutire l’impatto devastante che il crollo dei prezzi del vino ha subito sul mercato interno e su quello estero. No, non bastano. Perché poi quando uno si mette lì con carta e penna e comincia a fare i conti per bene, si accorge che non ne vale più la pena. Che non vale la pena spezzarsi la schiena in campagna da gennaio a ottobre per un manciata di soldi che non bastano nemmeno a pagare le spese. Storie di queste tipo, anche in Trentino, da domani, e lo sanno tutti, saranno sempre più all’ordine del giorno. E una storia così, ieri, ce l’ha raccontata un pensionato di Nomi, il signor Ivo Riolfatti. Settant’anni compiuti, una pensione da artigiano e un invalidità civile al 30%. Lui, il signor Ivo, è uno dei quasi duecento soci della Viticoltori di Nomi: una delle cantine che ormai da qualche anno sta navigando a vista e che lo scorso inverno dovette subire anche l’onta del commissariamento d’ufficio. Intrappolata fra la prospettiva di un tracollo definitivo, le esposizioni bancarie sono milionarie, e l’eventualità di una sorta di fusione – non si sa bene ancora in quale forma – con la sociale di Nogaredo, Vivallis. L’operazione sarà annunciata ai soci di Nomi venerdì sera nell’ambito dell’assemblea che aprirà la stagione della vendemmia. Ma, per ora, si tratta solo di un’ipotesi sulla carta: immaginata e costruita sui tavoli della politica e della cooperazione trentina ma osteggiata e ancora tutta da digerire dalla base sociale: “Ma chi ce lo fa fare di assumerci il fardello di debiti di Nomi e per fare un favore a chi poi a quelli che hanno affossato la la cantina? Non se ne parla nemmeno”. In questi giorni è questa la battuta che gira in destra Adige fra i conferitori di Vivallis. E che la racconta lunga sulla strada tutta in salita che la cooperazione provinciale dovrà fare per convincere i vignaioli di Nogaredo a digerire un rospo come quello dei debiti di Nomi. Ma torniamo al signor Riolfatti. Lui, e per ora è uno dei pochi, a questo punto le idee ce le ha chiare: “Quest’anno l’uva la lascerò sulle vigne. Non la raccoglierò. Ma chi me lo fa fare di lavorare pesantemente in perdita? Sono mica matto, dovrei usare i soldi della pensione per pagare i braccianti durante la vendemmia”. Bella provocazione, quella del socio di Nomi. Che, fra sé e sé, spera possa essere seguita anche da altri soci. Ieri lo abbiamo incontrato nello studio del suo avvocato roveretano, la dottoressa Cinzia Marsili che, in tutta questa delicata vicenda, lo segue e lo consiglia. Certo, perchè mica è cosi semplice e indolore per un socio rifiutarsi di conferire il prodotto: ci sono obblighi statutari da rispettare e penali di pagare. E lo vedremo fra poco. I conti, il signor Riolfatti, li ha fatti non una ma due e poi tre volte: “Lo scorso hanno ho conferito in cantina 110 quintali di uva che mi sono stati pagati poco più di duemila euro: venti euro a quintale. Fate voi i conti”. E i conti in effetti sono presto fatti. Se si pensa che per una produzione di cento quintali si spendono solo per l’acquisto degli anticrittogamici cifre variabili fra gli 800 e i 1000 euro. Parte da qui la provocazione di Riolfatti: “Ho comunicato alla cantina, da socio, che quest’anno non sarò in grado di pagare i lavoranti per la vendemmia. Vengano loro in campagna, se vogliono, e la raccolgano loro. Io l’uva non la raccolgo”. Ma le cose, come dicevamo, non sono così semplici come sembrano. Lo statuto della sociale, infatti, impone al socio l’obbligo di conferimento. Ed è a questo che si sono appigliati i dirigenti di Nomi che al signor Ivo, infatti, hanno risposto con una di quelle risposte che fanno pensare ad una scenetta irresistibile da commedia all’italiana: ve lo immaginate un pensionato invalido che dice “non ho i soldi per raccogliere l’uva” e gli altri che gli rispondono “se non la raccogli paga la multa e taci”. Ecco più o meno cosi. Anzi letteralmente così: “Al termine della vendemmia il consiglio di amministrazione opera controlli e verifiche per individuare eventuali anomalie (mancati conferimenti, ndr) e provvedere eventualmente con l’erogazione delle eventuali sanzioni previste dai regolamenti”. Uomo avvisato, anzi Riolfatti avvisato, mezzo salvato. Il fatto è, però, che questa storia, purtroppo, potrebbe diventare il simbolo della vendemmia 2010 in Trentino. E, a parte tutto, questa non è una bella prospettiva. Per nessuno.