Sono in treno, sto smanettando con il portatile. Accanto a me due ragazze (più che altro due signore: avranno la mia età, sebbene mi sembrino più figlie che coetanee. Ma questo dipende solo da me e dalla mia barba). Quella con i capelli corti, bassina ma carina, ha gli occhi infossati. Glieli ho visti prima quando per un attimo si è tolta gli occhiali da sole. Deve aver pianto a lungo, stanotte o stamattina. Sta raccontando all’amica, che sembra una tosta, di adultèri subiti e di amori traditi. Le confida anche di essersi ubriacata, stanotte. Per provare a lenire il senso di naufragio che la stava annegando. Per fortuna, a volte, il vino serve anche a questo: e non solo a capire fino in fondo il mistero delle stelle. Io le ascolto, mentre fingo di lavorare. Mi piace spiare  nel mistero ingarbugliato delle vite degli altri. Poi mi viene in mente una poesia di Anna Achmatova, grande poeta – non amava essere chiamata poetessa – del Novecento russo. Ne faccio subito un post, mentre continuo a raccogliere in segreto la tristezza di questa donna tradita che mi siede accanto.

 

L’ultimo brindisi

Bevo alla casa devastata,
alla mia cattiva vita,
alla solitudine in due
e a te; alla menzogna
delle labbra che mi tradirono,
al morto gelo degli occhi,
al mondo sguaiato e crudele
al Dio che non ci ha salvati.

A. Achmatova