<p><span style="font-size:120%;"><span class="full-image-float-left ssNonEditable"><span><img src="/storage/crackR375-300x204.jpg?__SQUARESPACE_CACHEVERSION=1301915843831" alt="" /></span></span>Il 2010 è stato un anno nero per il vino italiano sul mercato interno, a differenza di quanto è accaduto per l’export che invece è cresciuto quasi dell’8%. Questa non è un novità. Alcuni numeri rappresentano bene la situazione. Negli ultimi vent’anni il consumo interno è crollato del 30 % (fonte Nomisma), nell’ultimo anno per la prima volta il consumo procapite è precipitato sotto i 40 litri. Entrando ancora più nel dettaglio si scopre che sul mercato interno la sofferenza colpisce di più le bottiglie di qualità, ovvero quelle che si attestano su una fascia di prezzo medio e medio alto. Una ricerca di Coldiretti ha messo a fuoco alcuni altri dettagli: in Italia la famiglia media spende poco più di 40 euro al mese in bevande. Di cui 20 se ne vanno in acquisto di acqua mentre il budget familiare per l’acquisto di vino si ferma a 12 euro al mese. Sono i numeri che disegnano il contorni di un mercato in crisi. A questi si possono aggiungere quelli elaborati da uno studio di <a href="http://sommelier.it/archivio.asp?ID_Categoria=9&ID_Articolo=2276" target="_blank" rel="noopener noreferrer">Vinexpo</a>, il Salone del vino della camera di commercio di Bordeaux. Ecco la radiografia dell’Italia: </span></p> <p><span style="font-size:120%;">2° produttore di uva da vino; <br />1° consumatore mondiale di vini fermi in termini di volume (5° in termini di valore); <br />5° consumatore mondiale di vini frizzanti; <br />6° mercato mondiale in termini di consumo di vini commercializzati a più di 10 dollari (7,19€) la bottiglia; <br />1° mercato mondiale per il consumo di vini commercializzati a meno di 5 USD (3,59 €) la bottiglia; <br />1° esportatore mondiale di vino in termini di volume e secondo in termini di valore.</span></p> <p><span style="font-size:120%;">Riassumendo, esportiamo moltissimo in termini di volume, molto in termini di valore. Consumiamo ancora molto in termini di volume ma sempre meno in termini valore. Infatti siamo al sesto posto fra i paesi consumatori di vini sopra i 7 euro e i primi consumatori di bottiglie sotto i 3,50 euro. Ancora numeri che raccontanto di un problema. Ho fatto questa premessa, per invitarvi a leggere i resoconti delle interviste che Vinitaly ha organizzato in questi ultimi due mesi (l’iniziativa si chiama <a href="http://aspettando.vinitaly.com/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">Aspettando Vinitaly</a> e la trovate sul sito della fiera). Tre domande secche ai maggiori protagonisti del mondo del vino italiano. Di cui una dedicata appunto alla crisi del mercato interno. La domanda é:</span></p> <p><strong><span style="font-size:120%;">Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?</span></strong></p> <p><span style="font-size:120%;">Ecco come hanno risposto, giornalisti, imprenditori, enologi e winemaker italiani

Il 2010 è stato un anno nero per il vino italiano sul mercato interno, a differenza di quanto è accaduto per l’export che invece è cresciuto quasi dell’8%. Questa non è un novità. Alcuni numeri rappresentano bene la situazione. Negli ultimi vent’anni il consumo interno è crollato del 30 % (fonte Nomisma), nell’ultimo anno per la prima volta il consumo procapite è precipitato sotto i 40 litri. Entrando ancora più nel dettaglio si scopre che sul mercato interno la sofferenza colpisce di più le bottiglie di qualità, ovvero quelle che si attestano su una fascia di prezzo medio e medio alto. Una ricerca di Coldiretti ha messo a fuoco alcuni altri dettagli: in Italia la famiglia media spende poco più di 40 euro al mese in bevande. Di cui 20 se ne vanno in acquisto di acqua mentre il budget familiare per l’acquisto di vino si ferma a 12 euro al mese. Sono i numeri che disegnano il contorni di un mercato in crisi. A questi si possono aggiungere quelli elaborati da uno studio di Vinexpo, il Salone del vino della camera di commercio di Bordeaux. Ecco la radiografia dell’Italia:

2° produttore di uva da vino;
1° consumatore mondiale di vini fermi in termini di volume (5° in termini di valore);
5° consumatore mondiale di vini frizzanti;
6° mercato mondiale in termini di consumo di vini commercializzati a più di 10 dollari (7,19€) la bottiglia;
1° mercato mondiale per il consumo di vini commercializzati a meno di 5 USD (3,59 €) la bottiglia;
1° esportatore mondiale di vino in termini di volume e secondo in termini di valore.

Riassumendo, esportiamo moltissimo in termini di volume, molto in termini di valore. Consumiamo ancora molto in termini di volume ma sempre meno in termini di valore. Infatti siamo al sesto posto fra i paesi consumatori di vini sopra i 7 euro e i primi consumatori di bottiglie sotto i 3,50 euro. Ancora numeri che raccontanto di un problema. Ho fatto questa premessa, per invitarvi a leggere i resoconti delle interviste che Vinitaly ha organizzato in questi ultimi due mesi (l’iniziativa si chiama Aspettando Vinitaly e la trovate sul sito della fiera). Tre domande secche ai maggiori protagonisti del mondo del vino italiano. Di cui una dedicata appunto alla crisi del mercato interno. La domanda é:

Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?

Ecco come hanno risposto, giornalisti, imprenditori, enologi e winemaker italiani (fonte: Aspettando Vinitaly) – Leggi l’estratto in formato pdf

 

Lamberto Vallarino Gancia
Presidente Federvini

Il calo nasce da tanti fenomeni, forse non sufficientemente valutati nel loro impatto congiunto. Provo a spiegarmi meglio: a partire dagli anni ’70 abbiamo considerato naturale il calo del consumo del vino in conseguenza dei cambiamenti economico-sociali che l’Italia stava vivendo, ma poi sono intervenute altre cause, quali l’attenzione del consumatore per la qualità e la necessità di un equilibrato consumo. In questo processo abbiamo perso però dei riferimenti importanti relativi alla presenza del vino nei nostri gesti quotidiani. Si può riassumere il tutto come difetto di comunicazione, ma se si vuol agire in questo campo si deve procedere con una comunicazione articolata. Sicuramente la grossa opportunità sarà di comunicare le tante differenze di produzione del nostro settore che essendo molto polverizzato richiede tempo e necessità di fare sistema.

Lorenzo Biscontin
Direttore marketing Santa Margherita

Sicuramente la concorrenza sul mercato italiano tende ad essere più agguerrita rispetto ai mercati esteri, soprattutto quelli che più di recente si sono avvicinati alla cultura del vino. Va però sottolineato che questo gap di natura economica si è via via ridotto negli ultimi anni con la crescita sui mercati dei vini provenienti dai nuovi Paesi produttori. Quello che noi stiamo riscontrando è probabilmente un problema di comunicazione, che ha fatto passare il vino da complesso e stimolante a complicato e un po’ noioso.

Fabio Giavedoni
Curatore Guida Slow Wine

Credo che sia soprattutto un problema culturale, che potrebbe essere colmato da un’efficace comunicazione. Lo testimonia il fatto che ancora oggi ogni tanto si sollevano ventate di ottuso proibizionismo nei confronti del consumo del vino, sostenute da dati oscuri, fuorvianti e mai ben verificati sugli incidenti stradali in stato di ebbrezza e sul dilagare del consumo dell’alcool tra i giovani. Bisognerebbe cominciare invece dalle scuole dell’obbligo a spiegare qual è stata la storia e il valore culturale del vino in Italia.

Ermanno Gargiulo
Responsabile category Sud Coop Italia

In questo momento il gap è sicuramente di natura economica, marchiamo però in questo settore anche un ritardo su una corretta comunicazione.

Aldo Cibic
Architetto e designer della “Bottiglia dei 150 anni dell’Unità d’Italia” di Vinitaly

Per quella che è la mia percezione, credo che il vino italiano salendo di livello sia andato a colpire di più un mercato di qualità e un consumatore più attento al buon bicchiere. Questa evoluzione del vino italiano corrisponde a un pubblico più esigente che probabilmente non incide sul volume di produzione, ma che premia il salto in avanti fatto in questi anni. L’impressione è che si vedano, sia nelle grandi città che nelle piccole province, sempre più enoteche e negozi specializzati in vini e prodotti locali di alta qualità

Lucio Mastroberardino
Presidente Uiv

Tutti e tre i fattori concorrono a formare un cocktail micidiale. Ma se sul primo non possiamo far nulla come settore, il secondo e il terzo problema sono quelli su cui invece siamo chiamati a incidere. Sul fronte culturale, l’educazione a una sana alimentazione e un corretto approccio all’alcol non può che partire dalle scuole, e qui come Unione Italiana Vini siamo direttamente impegnati. Il recupero delle giovani generazioni è fondamentale sia per evitare le pericolose derive, sia perché questi sono i consumatori di domani: o li educhi oggi o li perdi per sempre. Il problema della comunicazione invece è più ampio, e riguarda la mancanza di politiche unitarie della filiera: il vino è patrimonio di tutti coloro che lo producono, ma a comunicarlo sono troppo spesso soggetti diversi dai produttori.

Nino Visco
Direttore commerciale di Cantine Riunite

L’evoluzione del mercato italiano, in termini di consumi, è di sicuro un fatto sociale, non del tutto negativo se è vero che  “si beve meno ma si beve meglio” . Al calo naturale dei consumi si è però aggiunto l’inasprimento della disciplina in materia di guida che ha portato i consumi fuori casa a meno del 20%. Il resto del mercato è in GD, un canale  che gioca tutto il suo potere contrattuale nei confronti di un’offerta caratterizzata da una competizione accanita, disposta a ridurre sempre più i margini pur di mantenere le posizioni di mercato.

Marco Gatti
Giornalista

Innanzitutto il nostro è un gap culturale e, di conseguenza, di comunicazione. Il vino fa parte del nostro Dna, è all’origine della nostra civiltà. E invece? Invece di promuovere la cultura del bere consapevole, la conoscenza di che cosa è veramente il vino, della sua storia e addirittura del suo valore positivo, anche per la salute, da tempo il vino è oggetto di ingiusta demonizzazione che ne svilisce l’appeal e ne mortifica nel nostro Paese la conoscenza.

Antonello Maietta
Presidente di Ais

Tutti e tre i fattori sono presenti, seppur in diversa proporzione. Al primo posto metterei la mancanza nel nostro Paese di una vera e propria cultura del vino. La comunicazione non sempre è efficace, anzi, talvolta appare distorta, dando messaggi fuorvianti. Solo all’ultimo posto metterei il fattore economico, poiché non sono poche in Italia le aree geografiche che producono molto bene a prezzi competitivi.

Riccardo Facci
Facci&Pollini

Dal mio punto di vista il problema è legato a molteplici fattori. Penso innanzitutto ai mercati, per natura strettamente legati alla tradizione e alla cultura profonda di un Paese, che reagiscono di solito più lentamente ai cambiamenti. Il vino non penso faccia eccezione. C’è poi l’innalzamento di posizionamento del vino italiano, che potrebbe non essere stato ancora percepito con la credibilità che merita. Senza dimenticare che le tasche degli italiani, in questo momento storico, potrebbero anche premiare la qualità, ma non certo i volumi. Aggiungerei inoltre un punto importante: la criticità di comunicare il prodotto vino quindi alcool, che ha impedito un sereno sostegno da parte delle istituzioni (spesso divise tra la sensibilizzazione sul tema della sicurezza alla guida e la promozione dei prodotti italiani a base alcolica) nella comunicazione e divulgazione dei valori e dei progressi della nostra produzione interna. Come ultimo fattore, in ordine di citazione ma non di importanza, le imprese italiane, sempre restie a fare sistema, che non sono riuscite a comunicare il loro prestigio in modo moderno, strutturato e coordinato come hanno fatto invece i nostri cugini francesi, ottimo esempio di come si può sommare un robusto sostegno da parte delle istituzioni ad una talentuosa cultura del comunicare.

Carlotta Pasqua
Presidente di Agivi
Approccio. Ecco il problema che vedo quando analizzo le cause per le quali i nostri vini non hanno la stessa visibilità dei nostri competitor. È il diverso approccio al mercato e penso sia una concausa di tutti e tre gli aspetti menzionati. L’aspetto culturale ci porta ad essere esterofili nel giudicare ma regionalisti nell’operare. L’aspetto economico, con la frammentazione delle imprese, dei vigneti e delle denominazioni, e una comunicazione/promozione non sempre strategica ed efficace completano il quadro.
Gianni Zonin
Casa Vinicola Zonin

Certamente si può parlare di un problema economico causato dalla crisi degli ultimi 3 anni, ma anche di un problema di comunicazione perché molto spesso si confonde il vino con l’alcool. Soprattutto tra i giovani è necessario diffonderne la cultura ed il suo consumo consapevole, distinguendolo dagli spirits: il vino è un vero alimento con proprietà nutritive ebenefiche, indispensabili nella dieta mediterranea. La promozione del vino, oltre che dai produttori, deve essere sostenuta anche dalle istituzioni preposte, soprattutto in un anno come questo in cui il nostro Paese festeggia il 150° dell’Unità d’Italia. Il vino, dal punto di vista socio-religioso, è uno dei simboli più eloquenti della nostra terra, anticamente chiamata Enotria.

Franco Ziliani
Giornalista

Non c’entra solo la crisi, per tanti consumatori spendere 20-30 o più euro per un grande vino è davvero impossibile, non se lo possono permettere.

Massimo Perini
Category marketing manager di Unes

Ritengo che dipenda congiuntamente dalle 3 variabili. Culturale: sono cambiati gli stili di vita (ad esempio il vino è calorico e sconsigliato per chi è sovrappeso), sono diminuiti i “forti consumatori” (si beve meno ma meglio) e la società sta diventando sempre più multietnica (ed alcune di queste etnie non consumano vino). Comunicazione: non esiste una comunicazione strutturata che, da un lato possa creare cultura e dall’altra promuova adeguatamente il vino. Economica: la recessione sicuramente ha contribuito ad amplificare la crisi dei consumi.

Roberto Racca
Consulente marketing del settore vino

La contrazione del potere d’acquisto e il fattore etilometro, fenomeni peraltro cronologicamente recenti, non sono sufficienti a spiegare una diminuzione dei consumi che si protrae ormai da molti anni. Personalmente mi concentrerei sul gap culturale, che si associa a doppio filo ad una comunicazione spesso autoreferenziale e senza una regia mirata ad avvicinare, con la giusta emozionalità didattica e le profonde valenze culturali, le nuove generazioni e il target femminile in particolare.

Riccardo Ricci Curbastro
Presidente Federdoc

Il gap italiano è tre volte grave, perché di natura economica, culturale e di comunicazione. La crisi economica esiste ed è provata dalla diminuzione dei consumi nell’horeca che la gdo non riesce a compensare. Sul lato culturale, gli anziani consumano meno, i giovani si astengono, la società sta cambiando. Occorre un  programma di comunicazione: di informazione sull’assunzione corretta del vino e sugli effetti benefici alle giuste dosi; di promozione dell’immagine dei nostri vini legati al territorio e alle tradizioni culturali e culinarie. Federdoc ci sta provando con il supporto pubblico, ma le stesse istituzioni pongono paletti importanti, come la raccomandazione UE n. 458/2001 che vieta di comunicare ai giovani.

Antonio Capaldo
Presidente Feudi di San Gregorio

Nel mercato italiano c’è sicuramente bisogno di più comunicazione al fine di creare una vera cultura del vino. Siamo tutti, onestamente, responsabili. In primis, chi ha un grande marchio alle spalle e potrebbe giocare un ruolo attivo nella creazione di una vera cultura capillare del vino.
Occorrerebbe riscoprire, ad esempio, l’attività di degustazione come propedeutica alla vendita, come si fa in tantissimi mercati considerati a torto meno evoluti: se il cliente non degusta, non acquista. Sono le aziende che devono spingere in questa direzione.
Certamente poi servirebbe un quadro istituzionale che valorizzi e protegga il sistema vino, ma mi piace pensare che gran parte del futuro possa essere nelle nostre mani.

Veronika CreceliusGiornalista tedesca corrispondente in Italia della rivista Weinwirtschaft

Tutto insieme. Il calo del consumo del vino in generale è anche dovuto al cambio demografico. Gli anziani bevono meno, i giovani di oggi non sono appassionati e bevono altre cose, l’euforia dopo il risveglio del settore e la “rivoluzione qualitativa” si è spenta con gli anni e poi gli italiani non sentono ancora la ripresa economica. Il giovane fa fatica a orientarsi adesso che nelle case non c’è più quel legame naturale con il vino che esisteva fino a pochi anni fa in ogni famiglia italiana. La pubblicità non sa attrarre i ventenni, non è “cool”, troppo tradizionale oppure evocativa di un lifestyle che piaceva negli anni ‘90.

Giancarlo Vettorello
Direttore Consorzio Conegliano Valdobbiadene

Negli ultimi 20/30 anni l’approccio al vino da parte del consumatore è cambiato moltissimo: si è infatti passati dalla considerazione del vino come alimento a un consumo di tipo voluttuario. Più che di gap si può quindi parlare di un cambiamento antropologico in atto che ha coinvolto il nostro Paese come altri Paesi produttori e che richiede lunghi tempi di assestamento. In questa fase, più che fare attenzione all’aspetto quantitativo, è importante diffondere una cultura del bere attenta e direi qualitativa. In questo senso credo che molto possano fare la ristorazione e la distribuzione in generale, presentando vini di qualità legati ai luoghi di produzione ed emarginando i troppi vini generici che vediamo sulle tavole.

Marco Selmo
Responsabile liquidi gruppo Carrefour

Credo che questo gap sia generato principalmente da due fattori: il primo più rilevante è il contesto economico, il grosso lavoro a livello qualitativo fatto nel mondo del vino e la grande disponibilità di volumi ha portato ad avere ottimi prodotti a prezzi estremamente competitivi, ma si è perso il presidio delle fasce medie di mercato che risultano in contrazione; il secondo è legato alla natura strutturale del mondo vitivinicolo italiano che e’ costituito da una miriade di piccole aziende, a volte tra loro concorrenti e che non riescono a dare un messaggio univoco al consumatore, a parte alcuni casi sporadici e all’ottimo lavoro di alcuni consorzi, che porti a valorizzare il “prodotto” vino.
Sicuramente un migliore coordinamento e l’aumento delle dimensioni delle aziende vitivinicole che in alcuni casi si sta già realizzando può portare a una migliore comunicazione e quindi a migliorare l’ immagine di questo settore agli occhi del consumatore finale.

Adriano Orsi
Presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative

Il mercato del vino in Italia non vive una stagione esaltante. Complice soprattutto la crisi, nel 2009 il consumo di bianchi e di rossi nel nostro Paese è sceso per la prima volta sotto i 40 litri pro capite (-30% in 20 anni, dati Nomisma). Oltre alla congiuntura economica, tra le cause del calo dei consumi rientrano anche il costo della burocrazia gravoso nel nostro Paese, che costringe molte imprese ad aumentare il prezzo dei propri vini, oltre alle scarse possibilità date ai produttori di fare comunicazione e pubblicità ai loro prodotti e le restrittive norme del codice stradale che limitano l’uso di alcool.

Sandro Boscaini
Presidente cantina Masi

Nel mercato nazionale pesano sul calo di consumi fattori culturali legati a una dieta più cosciente nell’assunzione di calorie, a una sempre maggiore riduzione del pasto di mezzogiorno e a una politica altamente disincentivante del consumo del vino al ristorante per chi guida.

Luca Maroni
Giornalista

Di tutte e tre le nature, e per questo occorre individuare le risorse da investire per finanziare campagne educative istituzionali di comunicazione, da investire nella formazione, per assistere i produttori nella valorizzazione, nella commercializzazione, nella distribuzione e nella protezione contro la contraffazione. Occorre assolutamente e subito predisporre un progetto strategico per avviare il Rinascimento Culturale Agricolo e Naturalistico del Paese.

Chiara Lungarotti
Presidentessa Movimento Turismo del Vino

L’attuale crisi economica ha senza dubbio il suo peso. Alla crisi, poi, si aggiunge un problema sul piano della comunicazione: in questi ultimi dieci-quindici anni sono arrivati sul mercato tanti piccoli produttori, che oggi necessitano di una riconoscibilità e visibilità e un posizionamento nel mercato.

Giuliano Dell’Orto
Direttore Creativo RobilantAssociati

Nei comportamenti di consumo degli italiani la cultura del vino rappresenta un aspetto radicato. La comunicazione e l’aspetto economico rivestono invece un ruolo fondamentale nella determinazione di questo distacco, essendo peraltro tra loro strettamente interconnessi. Il sistema vitivinicolo italiano ha una struttura frammentata costituita da realtà eccellenti ma spesso piccolissime, che non hanno singolarmente la forza economica per mettere in atto delle strategie di comunicazione tali da competere con i produttori esteri. Risorse limitate, tuttavia, non necessariamente precludono ogni possibilità di una comunicazione efficace. Al contrario in un momento congiunturale in cui la capacità di spesa delle aziende è necessariamente ridotta, l’imperativo diventa procedere a una buona revisione di tutti i livelli di comunicazione della marca per un’ottimizzazione della loro efficacia, mediante l’attuazione di un approccio sinergico e integrato. Poche regole di grande efficacia: focalizzare gli elementi distintivi e connotanti dell’impresa; definire un set di strumenti adeguati ed efficaci per la corretta comunicazione; costruire un linguaggio di marca unicizzante e facilmente riconoscibile; procedere a una razionalizzazione del portfolio d’offerta che sia coerente con la cultura dell’impresa e ben organizzato secondo le esigenze del consumatore; assicurarsi che i prodotti siano comunicati in maniera efficace da un packaging in grado di raccontarne la specificità

Giuseppe Martelli
Direttore generale Assoenologi – Presidente Comitato Nazionale Vini

Il principale problema del vino italiano è la frammentazione della produzione che porta inevitabilmente a personalismi e individualismi. In poche parole ritengo che la prima cosa da fare per razionalizzare il settore sia quella di “potare” oltre alle viti i campanili. Cosa non facile visto che l’Italia è l’unico Paese vitivinicolo al mondo dove la vite si estende quasi ininterrottamente da Bolzano a Pantelleria, abbracciando storia e cultura di territori assai diversi. Molto si sta facendo, ma molto rimane da fare per unire maggiormente il settore, trovando soluzioni comuni nella logica che il concorrente non è più la regione o il paese vicino ma il mondo e che pertanto a livello nazionale bisogna capire che “uniti si vince”.

Giacomo Rallo
Titolare di Donnafugata

Il gap del mercato italiano è prevalentemente comunicazionale. Ancora oggi risulta troppo bassa la percentuale di investimento in marketing e attività promo-pubblicitaria, rispetto al fatturato globale del settore (inferiore al 3%). Per altro verso pesantissime sono state le conseguenze dell’azione politica rivolta a regolare, ma con l’effetto di penalizzare, i consumi fuori casa.

Eleonora Guerini
Giornalista

Un po’ tutte e tre le ragioni. Innanzitutto c’è un problema di relativa giovinezza del prodotto vino di qualità nel nostro Paese. In questa la Francia è il competitor. Trecento anni di storia in più sulle spalle hanno generato un’idea diffusa di esclusività e assoluta qualità. In realtà però credo fermamente che la qualità rappresentata dal vino del nostro Paese non sia in questo momento seconda a nessuno. Quello che si comunica non è la certezza di terroir senza eguali, la straordinaria qualità che alcune denominazioni assicurano. Piuttosto un complesso di inferiorità. Se penso a certi Cabernet Sauvignon californiani venduti negli Stati Uniti a oltre 250 dollari la bottiglia allora credo che in Italia qualcosa nel meccanismo non funzioni davvero

Elena Martuscello
Presidentessa Associazione Nazionale Le Donne del Vino

Il gap è rappresentato dall’insieme di questi tre fattori. Economicamente, il vino di qualità costa. Probabilmente negli anni scorsi sono stati commessi alcuni errori, da parte dei produttori con l’aumento, talvolta immotivato, dei prezzi, ma anche di alcuni ristoratori che hanno applicato rincari troppo elevati. Culturalmente, il consumatore, pur avendo a disposizione diverse fasce di prodotti rispettabili, non riesce ancora a riconoscergli il giusto valore. Per quanto riguarda la comunicazione, credo se ne faccia anche troppa, ma non sempre è appropriata o incisiva. Sarebbe importante diffondere il modello nutrizionale rappresentato dalla dieta mediterranea, i cui ingredienti principali sono cerali, frutta e verdura, pesce, carne, prodotti caseari, e, sottolineo, vino. Diversi studi hanno confermato, infatti, che un moderato consumo giornaliero di vino arricchirebbe la nostra dieta.

Alberto Alessi
Alessi spa

A mio parere tutto parte da un gap culturale: c’è una incompleta comprensione del fatto che l’Italia è uno dei primi e fondamentali Paesi nella storia del vino dall’antichità a oggi e non è capace di valorizzare questa valenza in modo adeguato. Il mondo della produzione vinicola non si rende conto che è ancora – in termini generali – ancorato a criteri quantitativi invece di puntare sulla qualità che, sola, potrebbe riscattarlo da una triste sorte. Ancora oggi sono troppi i vini italiani di qualità scadente!

Federico Castellucci
Direttore generale OIV

Il gap italiano é prevalentemente comunicazionale e di modifica delle abitudini di consumo, ma la crisi economica ha senza dubbio avuto le sue influenze. L’Italia mantiene la prima posizione mondiale per volume di esportazione con il 20% ed é tra i primi consumatori pro capite (40,5 litri), ma può sicuramente migliorare con una politica mirata di marketing ed immagine. La qualità del vino italiano non é in discussione e con un programma di comunicazione, che sottolinei gli effetti benefici di una corretta assunzione, e una promozione dell’immagine dei vini legati a tradizioni culturali, territoriali e al piacere del consumo di un prodotto di qualità e controllato, l’Italia potrà guadagnare ulteriori spazi. Si deve lavorare in materia di comunicazione sopratutto sui «youngs adults», la generazione che va dai 20 anni in su.

Massimo Bernetti
Presidente Umani Ronchi

Il gap del mercato Italia nasce da numerosi fattori. È stato di certo influenzato da tutta una serie di cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi anni: dalle diverse occasioni di consumo, ai fattori dietetici, all’aumento delle percentuali di immigrati non consumatori, solo per citarne alcuni. Si impongono inoltre tante nuove limitazioni, non ultime quelle relative al drink&drive, che hanno fatto scendere drasticamente i consumi pro capite di vino. Sicuramente il problema di comunicazione c’è stato ed esiste, e penso che è su questo aspetto che dovrebbero concentrarsi le associazioni dei produttori esaltando gli aspetti positivi del vino.

Giorgio dell’Orefice
Giornalista Agrisole-Il Sole 24 Ore

Non tutti i trend che si riscontrano in Italia sono negativi. E molto lavoro è stato fatto. È vero che calano i consumi pro capite ma cresce la qualità. La stessa grande distribuzione (dalla quale ormai passa il 60% delle vendite di vino) si sta sempre più trasformando in enoteca, visto che oltre due terzi delle quantità vendute sono rappresentati da vini Doc e Docg. Inoltre, i vini con un prezzo superiore ai 6 euro sono quelli che hanno mostrato il maggior trend di crescita (+11,5%). Fra gli scaffali lo spazio per i consumi di qualità è ancora ampio.

Roberto Masullo
Buyer vini e spumanti Billa Italia

L’attuale congiuntura economica è sicuramente condizionante in negativo, ma non solo per il mercato del vino e non solo per l’Italia. Direi che la crisi dei consumi sia causata da fattori culturali, intesi come nuove e diverse abitudini al consumo. Fino a pochi anni fa il vino era considerato un alimento tout-court ed era una componente abituale delle tavole degli italiani. Ora si tende a consumarlo in modo più attento, in occasioni e momenti circoscritti che premiano sì la qualità di ciò che si beve, ma riducono fatalmente le uscite.

Andrea Cimenti
Amministratore delegato Acqua Group

Direi prevalentemente di natura economica e culturale. Economica perché la crisi ha portato a un ridimensionamento del carrello della spesa con una conseguente flessione dei prodotti alimentari, anche non superflui. Lo stesso vale poi in misura più accentuata per i consumi out-of-home. Culturale perché alcune iniziative come l’inasprimento dei controlli e delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza non ha certo aiutato i consumi, soprattutto fuori casa. Per quanto riguarda la comunicazione direi che gli investimenti sono diminuiti anche se qualche sforzo è stato fatto: l’aumento ad esempio delle vacanze enogastronomiche anche in formula “economy”, penso agli smartbox che offrono weekend all’insegna del gusto o degustazioni varie, può rappresentare un alternativo canale promozionale.