fiasconaro Ci ho pensato un po’ prima di scrivere questo post. Poi, si capisce, ho deciso per il sì. L’altro giorno ho approfittato della bella giornata per fare una passeggiata fra le verdi colline del Trentino. E siccome non resisto quasi mai alla tentazione di entrare in un locale, quando ne incrocio uno, mi sono buttato dentro una specie di rifugio di mezza montagna (siamo in Vallagarina) che ogni tanto frequento. Ma che frequentano soprattutto i turisti. Un posto tutto sommato carino, dove si vendono prevalentemente vini, grappe e formaggi trentini. Insomma uno di quei posti dove un po’ di promozione del territorio, viva iddio, si fa. E si fa onestamente. Eppure, questa volta ho avuta una delusione. E mi dispiace sul serio. A parte aver chiesto un Trentodoc ed essermi sentito rispondere: “Abbiamo un buon Prosecco”, ma a questo andazzo ormai sono abituato. E c’è solo da sperare che la cabina di regia promozionale con un focus sul mercato interno, quella promessa dall’Assessore, cominci a lavorare in fretta. A pare questa delusione, dicevo, ne ho avuta un’altra. Ed è arrivata, puntuale, quando sconsideratamente mi è passata per la testa l’idea di prendere un dolce: “Uno strudel, uno zelten, ce l’hai, almeno quello?”, ho chiesto. L’oste mi ha risposto: “Abbiamo uno splendido panettone”. Siccome siamo in tempi di solstizio d’inverno (che per i credenti coincide con il natale), in effetti sul bancone erano esposte alcune confezioni di panettone (di strudel e di zelten, manco l’ombra: si vede che non è più roba a la page). Confezioni di bell’aspetto, natalizie appunto, che facevano presagire un dolce artigianale. Mi sono avvicinato e come sempre ho dato un’occhiata all’etichetta. E così ho scoperto che si trattava di un panettone fabbricato nel bel mezzo del Parco delle Madonie, in quel di Palermo: Naturlì –  Fiasconaro SrL, Castelbuono, Contrada S. Lucia (PA). Che poi ho scoperto essere una pasticceria più che blasonata, di cui negli ultimi anni si è fatto un gran parlare (in bene). E infatti sono qui a parlarne anche io. Artigianale sì, insomma, il dolce, ma artigianato siciliano. Prezzo al pubblico 19 euro. Mah, ho pensato. Ma cosa ci fa un panettone sicano sul pizzo delle Alpi? Ne ho accennato, sorridendo, all’oste. Che, però, è sembrato cadere dalle nuvole: “Ma cosa dici, li ho comperati l’altro giorno dal mio solito rappresentante di fiducia. Ti pare che mi abbia venduto un panettone di Palermo?”. Lì ho capito che aveva acquistato a scataola chiusa e che non sapeva nemmeno cosa stava vendendo. Poi, controllata l’etichetta, finalmente anche lui ha dovuto darmi ragione. Ora, è chiaro che non sto facendo polemica con l’arte dolciaria siciliana (che anzi di solito trovo più elegante, più ricca e più golosa di quella del nord): Cosimo è tante cose, più o meno virtuose e soprattutto più o meno viziose, ma di sicuro non è un autarchico (fuma solo american blend e fra i super alcolici beve solo Rum cubano, tanto per dirne una anzi due). Eppure devo dire che la cosa mi è apparsa sconcertante. Il panettone Fiasconaro poi, per curiosità, io e l’oste lo abbiamo assaggiato. Ma questo è un altro discoro, e non sto qui a raccontarvi se era più o meno buono di un panettone milanese o trentino. La delusione, mia, non riguarda la qualità del panettone. Quanto piuttosto, la cultura, o incultura, dei cosiddetti “addetti ai lavori” in una terra che sta investendo milionate e milionate di euro nelle politiche di marketing territoriale. Con tutto ciò che ne segue: tipicità, Km Zero e il resto. Soldi pubblici, tanti, buttati al vento se questi sono i risulati. Se un locale frequentato soprattutto da turisti, che scelgono il Trentino modello Mulino Bianco e tutto mercatini di natale proposto dalla SpA del marketing mellariniano, anzichè il Trentodoc serve, e  consiglia, Prosecco e anziché vendere strudel, vende panettone delle Madonie. Qualcosa non ha funzionato. Qualcosa non funziona. Forse, si dovrebbero fare meno scampagnate romane e parigine, e si dovrebbe spendere qualche soldo in più nella formazione professionale di chi il territorio, faticosamente ma spesso genericamente, lo vende ogni giorno ai turisti. Anche se capisco che le scampagnate happy few siano più fiche e più divertenti. Soprattutto per chi le fa. Ma portano a poco, se ai fuochi pirotecnici dei tour e delle fiere internazionali non corrisponde una professionalità all’altezza di chi è a contatto con il consumatore finale. Questa la mia modestissima opinione. Da modesto consumatore, di trentodoc e di strudel. E tutto questo, naturalmente, senza offesa per gli amici trevisani e senza offesa per gli amici siciliani. Anzi con tanti complimenti a loro che, sapendo fare bene il loro mestiere, esportano fin sul pizzo delle Alpi Retiche i loro prodotti. Mentre noi, non riusciamo a vendere, e ad acquistare, i nostri, nemmeno nel bar sotto casa.