Ad una settimana dall’approvazione dello strampalato disciplinare che da qui in avanti regolerà le Osterie (Pizzerie) Tipiche Trentine, non si sono registrate reazioni da parte di nessuno di quei soggetti, che in un modo o nell’altro, marginalmente o principalmente, sono coinvolti da questa piccola contro riforma. Del resto anche i risultati del nostro sondaggio artigianale, che naturalmente non ha la presunzione di essere stato condotto secondo canoni scientifici, non ha dato i risultati che ci aspettavamo: i favorevoli e i contrari sono pressoché in pareggio. Questo, probabilmente, vuol dire che i fuori di testa siamo noi; noi che abbiamo preso di petto questa faccenda. Del resto, di non essere propriamente a piombo, ne avevamo già la vaga percezione. Ma siccome il nostro animo è diabolico, continuiamo sulla stessa strada. Dunque, vi segnaliamo un acuto post pubblicato ieri dalla giornalista del Corriere Francesca Negri su Geisha Gourmet. Lei si sofferma su un aspetto del nuovo disciplinare a cui anche noi avevamo accennato sul primo post, pur avendo tirato via di lungo per carità di patria. Il nuovo codice del club di prodotto Osteria Tipica Trentina, penalizza la Doc Trento. Ribadisce, come stabiliva anche il protocollo del 2003, l’obbligo per il fruitore del marchio di disporre di almeno 5 etichette di Doc Trento. Mentre largheggia su grappe e vini fermi. Ma, se qualcuno non se ne fosse accorto, dal 2003 ad oggi le etichette si sono moltiplicate. Per fortuna. I soli a non essersene resi conto sono i burocrati che hanno redatto il disciplinare. E i politici che, veleggiando imperterriti fra le alte cime, lo hanno approvato. Altro aspetto piccolo piccolo, ma ancora più dolente e che rischia di passare inosservato, è quello che afferisce alla scelta lessicale, che però è sostanza, del “legislatore” di usare la dicitura “Trento Doc” (denominazione corretta) e di non sognarsi nemmeno di accennare al marchio (di proprietà pubblica) “Trentodoc”. Su cui da alcuni anni convergono le camionate di soldi della promozione territoriale pubblica. Il brutto pasticcio fra denominazione e marchio commerciale non lo abbiamo inventato noi. Anche se sosteniamo da tempo che bisognerebbe porvi rimedio. Ma siccome le cose, per ora, stanno così, vale la pena prenderne atto e soprattutto stare attenti alle parole che si usano. Perché le parole, anche se non sembra, sono importanti.  A meno che dalle parti di piazza Dante non si siano rotti e stiano decidendo di scaricare l’Istituto. Trentodocchisti (dell’Istituto) avvisati, mezzi salvati!

Per un buon approfondimento si consiglia comunque la lettura del post pubblicato ieri su Geisha Gourmet.