di Anna Pancheri – Leggendo L’Adige di martedì 13 marzo, devo ammettere che sono rimasta allibita da quanto sostenuto da un articolo del Dott. Luigino Pellegrini, esponente del Pd, nonché Dirigente di Igiene e Medicina Preventiva e Responsabile del Servizio di Alcologia e Medicina delle Dipendenze di Rovereto.

A prescindere dalla legittimità di creare un contraddittorio all’iniziativa del Comune di Rovereto per l’istituzione della “Carta d’Identità Nutrizionale” dei prodotti montani, proposta dal Vicesindaco e Assessore alla Risorsa Ambientale e Turismo Daicampi ed approvata dalla Giunta Miorandi, di cui non entro nel merito, sebbene sia comprensibile che possano nascere degli interrogativi a riguardo visto e considerato che l’etichettatura di alimenti e bevande sono veri “campi minati”, si pensi al lavoro in sede europea dove il tentativo di armonizzare la normativa a riguardo è ostaggio delle differenze culturali e legislative dei Paesi membri. Nell’etichettatura del vino il dialogo si fa addirittura più stringente posto allo stato attuale il solo obbligo di indicare la presenza di Solfiti e, forse salve ulteriori proroghe, entro il 30 giugno 2012 l’indicazione di allergeni, ovvero derivati da carne, pesce e uova contenuti nei coadiuvanti enologici utilizzati durante la fermentazione e l’affinamento dei vini.

Questo a premessa del fatto che l’etichettatura di un alimento o di una bevanda possa sicuramente essere poco esaustiva nei confronti sia degli ingredienti sia soprattutto degli aspetti nutrizionali e salutistici.

Quello che mi ha lasciata sconcertata è indubbiamente il piglio con cui il dott. Pellegrini enuncia i dati provenienti sia dall’Istituto Superiore di Sanità sia dall’ l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, due istituzioni di riferimento che si occupano di Sanità Pubblica e che guidano il legislatore, attraverso le evidenze scientifiche, nel controverso dialogo in tema di Alcol e Salute.

Che “il terreno sia scivoloso” non v’è dubbio, affermare in etichetta che un vino rosso possa avere effetti salutistici a fronte del suo contenuto in Polifenoli e Resveratrolo è a mio parere un azzardo ed implicitamente una speculazione commerciale, ma a rigor di cronaca è anche giusto menzionare, a titolo d’esempio, che alcuni Paesi anche ExtraUE, grossi importatori di vino, nelle transazioni commerciali pongono particolare attenzione alla composizione fenolica dei vini, favorendo commercialmente quelli che contengono apprezzabili concentrazioni di tali elementi.

Perché? Il perché è da ricercare nelle circa 5.800 pubblicazioni sul tema “Vino e Salute” che negli ultimi 50 anni sono state promosse dalla comunità scientifica, partendo dal “Paradasso Francese” di Serge Reanud negli anni ’80 che decretò l’impennata di interesse circa il tema del ruolo dei composti polifenolici nel contrastare l’aggregazione piastrinica, la formazione di trombi e quindi dell’insorgere di aterosclerosi e di varie patologie coronariche ed anche nel ruolo di inibitori della degradazione ossidativa dell’organismo.

Vero è che data la quantità non rilevante di tali composti in una bottiglia di vino, affermare che sia un mezzo per contrastare terribili malattie degenerative, sia un’operazione azzardata e di “pubblicità ingannevole”, posto che per assicurare al proprio organismo l’introito ideale di sostanze benefiche alla nostra salute si dovrebbe bere anche più di 16 litri di vino al giorno.

Ma chi ha mai detto questo? Sicuramente non sono messaggi provenienti dal contesto produttivo enologico e sicuramente non dalla comunità scientifica che si occupa di tali ricerche. Da sempre, ed il manifesto europeo “Wine in Moderation” ne è un esempio lampante (sebbene, ahimè, poco comunicato dal settore) viene sottolineato che è nella moderazione che si riesce a bilanciare gli aspetti positivi e negativi del consumo di una bevanda alcolica come il vino. Un’interessante articolo pubblicato su una rivista di cardiologia di taratura internazionale propone i risultati di uno studio sul consumo di vino rosso ed il Rischio Relativo di incorrere in malattie cardiovascolari, il quale si abbassa apprezzabilmente a fronte di un consumo pari a 6 grammi al giorno di alcol etilico contenuto nel vino rosso, ovvero mezza Unità Alcolica, mezzo bicchiere preferibilmente consumato durante il pasto, quel mezzo bicchiere di vino rosso che molti nostri nonni raccontano essere panacea, toccasana, di una dieta equilibrata.

Differente il “cavallo di battaglia” cavalcato dal dott. Pellegrini in tema di “Alcol e Cancro”: la categorizzazione, effettuata dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, in 5 Gruppi di differente livello di cancerogenicità di sostanze con cui l’uomo viene a contatto, prevede l’introduzione nel Gruppo 1 come sicuramente cancerogene l’Acetaldeide associata al consumo di bevande alcoliche e le Aflatossine potenzialmente contenute nelle bevande alcoliche ottenute da fermentazione. La stessa IARC prevede comunque che si faccia un doveroso preambolo a tale trattazione: andando a leggere dunque le pubblicazioni scientifiche che hanno portato a tale categorizzazione, e che un medico non dovrebbe esentarsi dal valutare attentamente, è possibile capire come e perché la IARC abbia disposto in tale maniera.

Gli studi in vivo sull’attività cancerogena dell’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche sono stati effettuati su topi e gatti ed una pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rivela che le limitazioni interpretative dei dati ottenuti non consentano di proporre una valutazione finale consolidata. Al contrario gli studi sull’attività cancerogena dell’acetaldeide, che è la molecola intermedia di degradazione ossidativa dell’etanolo nel nostro organismo, non lascia spazio a dubbi: essa è sicuramente una molecola tossica ma risulta anche essere un metabolita che, attraverso la dotazione genetica di enzimi Acetaldeide deidrogenasi, viene prontamente eliminato, attraverso il Ciclo di Krebs o la sintesi di Acidi Grassi.

Gli studi in vivo su esseri umani, sempre dal Rapporto OMS, sono “studi retrospettivi” ovvero “studi caso-controllo”, che in Epidemiologia Analitica descrivono la possibilità che eventi già in essere (i “casi”) possano trovare spiegazione nella ricerca di un elemento scatenante: nel caso del consumo di bevande alcoliche e di sviluppo di carcinomi alla cavità orale, laringe, faringe ed esofago sono stati appunto condotti studi retrospettivi che hanno sottolineato l’evidenza che in popolazioni dove il numero di bevande alcoliche giornalmente assunte è elevato, ed in concomitanza con l’utilizzo di tabacco, ci sia un’incidenza rilevante di tali malattie.

Il limite di questa metodologia analitica, con la quale anche le maggiori istituzioni in materia di Sanità Pubblica a livello mondiale fanno riferimento nell’interpretazione dei dati raccolti, risiede nel fatto che possano fornire dati meno affidabili di “studi prospettivi” ovvero, per sintetizzare, di causa-effetto, poiché è abbastanza aleatorio affermare che l’eziologia di una malattia risieda nell’esposizione o meno di un dato fattore di rischio, e dunque possano portare a valutazioni di un Rischio Relativo piuttosto che di Rischio Assoluto e che, in ultima battuta, siano anche a rischio di distorsioni interpretative.

Un’altra pubblicazione della IARC relativa al consumo di bevande alcoliche e che dev’essere valutata a preambolo della categorizzazione nel Gruppo 1 è quella che parla della tossicità di contaminanti provenienti dal processo produttivo, ossia dalle fermentazioni, le quali se non condotte correttamente rischiano di produrre in dosi eccessive, nella fattispecie nitrosammine e aflatossine, molecole tossiche e cancerogene provenienti dal metabolismo fungino, e che la stessa pubblicazione decreta essere in netto calo negli ultimi 30 anni, sia nella produzione di vino che di birra, grazie ad opportuni accorgimenti tecnologici. Altra questione posta dalla IARC è la presenza di additivi ed aromi di sintesi presenti nelle bevande alcoliche che se in concentrazioni apprezzabili si ripercuotono sullo stato di salute del consumatore, ma questo non è un problema relativo al vino che non ammette nella sua legislazione ferrea e tenacemente controllata, nonché nella correttezza deontologica, la presenza né dell’uno né dell’altro.

Per concludere, a fronte del fatto che mi risulta come enologo inammissibile leggere tali affermazioni sul vino rafforzate da titoli che hanno il sapore di un terrorismo mediatico che ben conosciamo poiché vengono spesso messe in atto al fine di pilotare maldestramente l’opinione pubblica, mi sconforta maggiormente che un membro della comunità scientifica possa snocciolare con così tanta disinvoltura questioni cruciali che da sempre hanno trovato sede in dibattiti internazionali in materia di Alcol e Sanità Pubblica, senza peraltro venirne a capo in maniera risolutiva.

A fronte dell’essermi occupata nella Tesi di Laurea in Viticoltura ed Enologia di queste problematiche, ed essermi dunque immersa in una tema controverso e spinoso da cui è difficile maturare una soluzione univoca, e nel mio piccolo detenendo una docenza presso i Corsi Abilitanti per chi si avvia all’attività di Somministrazione di Alimenti e Bevande, trattando proprio di legislazione in tema di alcol la mia onestà intellettuale mi impone di sottoporre all’attenzione dei corsisti tutti i dati prodotti dalle maggiori istituzioni (OMS, ISS, Istat) al fine di consapevolizzare i futuri esercenti sulle responsabilità di chi vende e somministra bevande alcoliche circa le situazioni di abuso e delle problematiche alcol-correlate. Di sicuro non mi prendo la libertà, per poter magari remare a favore della mia categoria, di sottovalutare tali indagini: l’intento che mi pongo è quello di proporne la lettura nella chiave interpretativa più obiettiva, senza pregiudizi e mistificazioni, guardando in faccia alla realtà.

Suppongo che nell’attività di Medicina delle Dipendenze siano tanti i casi umani di disagio dovuto all’abuso di bevande alcoliche che il dott. Pellegrini debba constatare. Differente invece la problematica in seno al SERT sul circolo vizioso di sospensione ed accertamenti per il riottenimento della Patente di Guida, dovuta ad una legislazione ferrea in fatto di guida in stato di ebbrezza. Di quanto sia facile raggiungere il limite di alcolemia per la guida dei veicoli è cosa nota: una stima propone 2 Unità Alcoliche per le donne, 3 per gli uomini. Di quanto invece sia lungo il calvario per chi cerca di riottenere la Patente di Guida è cosa nota solo a chi commette tale reato e che si trova in un ingranaggio che volge a tenerlo attanagliato ad un meccanismo che sembra messo in piedi ad hoc per dilungare i tempi e fare cassa, ma questa è solo una mia impressione personale ottenuta dai racconti di persone che si sono trovate in questa situazione. Nel frattempo i dati relativi al ritiro di patenti per guida in stato di ebbrezza nella Provincia di Trento non danno segnale di ridursi: questo a sottolineare quanto poco efficaci siano una immensità di provvedimenti legislativi, anche molto severi, nel creare un deterrente efficace e promotore di stili di vita virtuosi.

A mio parere forse i 30.000 € stanziati per il progetto del Comune di Rovereto per la “Carta d’Identità Nutrizionale” dei prodotti montani andrebbero spesi per incrementare l’educazione civica, stradale ed alimentare nelle scuole fina dalla tenera età, al fine di formare adolescenti in grado di discernere atteggiamenti virtuosi nella tutela della propria salute da atteggiamenti viziati dal consumismo imperante dove le multinazionali delle bevande alcoliche e superalcoliche la fanno da padrone, completamente scevre da qualsiasi responsabilità sociale, e che vedono anzi i loro introiti aumentare grazie a spot ingannevoli e illegali dedicati alle giovani generazioni, mentre ad ogni piè sospinto il contesto produttivo del vino si trova a dover far fronte ad illazioni, da cui è difficile difendersi, buttate lì nell’agorà della speculazione intellettuale e della contesa politica e magari conclusa con un “Bevi il giusto” che suona come una sfida, o forse uno sfottò, e che brucia, soprattutto in momenti difficili come questi di incertezza e di delicati equilibri economici, dove chi lavora la terra e produce alimenti e bevande deve trovare la propria forza anche e soprattutto in una comunicazione sana e veritiera. Salute!
Sono graditi commenti a riguardo.


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