Riceviamo, dall’Ufficio Stampa della PAT, e volentieri pubblichiamo

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agricoltura paesaggio di montagnaSala gremita al Centro Congressi Piné 1000 per il convegno dedicato “Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino”. Una platea formata da liberi professionisti della pianificazione, da operatori agricoli e forestali, da promotori turistici ha seguito con grande attenzione gli interventi di Mauro Agnoletti (Università degli Studi di Firenze) Paolo Castelnovi (Politecnico di Torino) Annibale Salsa antropologo e Viviana Ferrario (dell’Università IUAV di Venezia). Fulcro della giornata è la riflessione e il confronto sull’importanza delle connessioni che legano le pratiche agricole al paesaggio, elemento fondamentale per un modello si sviluppo che richiede una pianificazione attenta e adeguata. A rappresentare la Provincia autonoma il dirigente del dipartimento territorio ambiente e foreste Romano Masè che ha portato i saluti degli assessori Mauro Gilmozzi e Tiziano Mellarini e attraverso loro il saluto di tutta l’Amministrazione provinciale. Masè ha rivolto un ringraziamento agli organizzatori per questo convegno che è un occasione di dibattito molto importante per lo sviluppo dei territori. “Il tema qui trattato è sempre più un elemento costitutivo di quelle che sono le politiche del territorio” Il dirigente ha sottolineato come l’ultimo Piano urbanistico provinciale ponga l’accento proprio sul paesaggio e ne promuova un approccio che riconosce l’agricoltura come presidio ed elemento fondamentale insieme alle altre forme di governo del territorio e del paesaggio. Quello che esce dall’analisi di Paolo Castelnovi è un Trentino che ha qualcosa da insegnare al resto d’Italia. Un luogo dove “l’agricoltura è collegata a fondo con il territorio” e dove “il telaio del catasto agricolo ha dettato le regole al catasto insediativo” e dove “la capacità di tenere il bosco è ben sviluppata”. “La saggezza e l’intelligenza dei pianificatori e dei politici è trovare un equilibrio fra spazi aperti e spazi chiusi”, ha detto l’antropologo Salsa che ha sottolineato anche come “l’autonomia fa parte della tradizione alpina” e “la realtà trentina è una realtà di eccellenza nel panorama nazionale. Qui le montagne non sono abbandonate”. Il convegno prosegue nel pomeriggio con “Paesaggi rurali nell’arco alpino”

Ad aprire i lavori il sindaco di Piné, Ugo Grisenti, che ha portato i saluti dell’amministrazione comunale. Per la Comunità Alta Valsugana Bernstol c’era l’assessore all’urbanistica , Anita Briani, che ha salutato l’assemblea e ringraziato per questa opportunità culturale. Primo ad intervenire Mauro Agnoletti docente dell’Università di Firenze che ha comincianto ponendo l’accento sul fatto che questi temi sono veramente al centro dello sviluppo e vanno al di là dei confini regionali, nazionali ed europei (qualche settimana fa è stato invitato all’Onu, proprio a parlare di questo). “Le politiche che facciamo in questo Paese – ha detto – hanno a che vedere con una serie di situazioni regionali. Nel corso dell’ultimo secolo le aere agricole in Italia hanno subito un dimezzamento, ciò vuol dire che si è lasciato spazio alla forestazione e si sono persi, anche, quei mosaici rurali complessi che erano tipici dell’Italia. Ci troviamo a che fare con un’agricoltura che ha perso i suoi ruoli primari ma ora ha a che fare con la qualità della vita. Abbiamo una certa parte di popolazione rurale che ha sempre meno a che vedere con quella parte di persone effettivamente dedita al lavoro agricolo. In Italia ci sono circa un milione di persone che ha appezzamenti agricoli ma che non vive di questo e, in ogni caso, interviene sul paesaggio rurale. La responsabilità delle politiche è maggiore nel momento in cui le forme di sussidio non sono ben equilibrate e attinenti al vero sviluppo del territorio. I paesaggi, specialmente quelli di montagna e di collina si sono semplificati: grandi aree omogenee che prima, invece, presentavano una complessità dovuta a diversi elementi (per esempio l’agricoltura di montagna). Un tempo c’erano mosaici agricoli molto frammentati, ora ci sono situazioni che riducono di molto la complessità e lasciano spazio all’abbandono e, di conseguenza, a una forestazione che avanza sempre più. In Trentino si è passati ad un aumento delle piante di latifoglie al posto delle conifere. La diversità del mosaico si scompone per fare posto ad un mosaico di bassa complessità, più povero. Tutto quello che si è perso in tutto questo processo di trasformazione è l’identità. Non è che dobbiamo tornare all’età della pietra ma oggi la qualità del luogo diventa un elemento importante anche per la collocazione del prodotto sul mercato. E’ importante, quindi, mediare fra le varie istanze del territorio. Negli ultimi decenni le trasformazioni culturali dell’Italia non hanno tenuto conto della storia del nostro Paese che è, da sempre, un territorio che ha molto a che fare con l’agricoltura. E la componente antropica è sempre stata molto importante”. A proposito dell’importanza dello sviluppo di un territorio che tenga conto dell’agricoltura come fattore vitale Agnoletti ha sottolineato come “L’Italia ha qualcosa da dire in ambito internazionale perché storicamente, nel nostro Paese, l’agricoltura ha creato valori importanti. Stiamo andando anche verso un livello diverso di certificazioni: pensiamo di sviluppare una certificazione a livello paesaggistico”. Il docente universitario ha concluso evidenziando che quando si parla di politiche ambientali è importante pensare ad una biodiversità che, da sempre, caratterizza il territorio italiano: questo è fondamentale per la salvaguardia del territorio (in Liguria, alle Cinque Terre, le recenti frane e smottamenti (che hanno provocato anche morti) sono avvenuti da terrazzamenti abbandonati).

Paolo Castelnovi, che ha preso la parola poco dopo sottolineando il suo mestiere di Urbanista, ha messo in evidenza i tanti rapporti che legano il mondo culturale e la pianificazione. “Gli agricoltori – ha esordito – spesso si assumono la responsabilità di quanto fanno sul territorio, i costruttori molto meno. La città dovrebbe obbedire a certe regole della ‘non-città’. Noi siamo su un treno di trasformazione e quindi non dobbiamo continuare a porci in continuo conflitto con l’integrità. Il nostro compito è trovare equilibri che cambiano continuamente. In questo processo l’agricoltura non fa la parte migliore, spesso la memoria dei paesani non va così in là, si ferma al passato più prossimo e non riconosce il valore e l’importanza della memoria storica. E’ importante affondare le nuove azioni che facciamo dentro degli elementi forti. Secondo il docente Castelnovi (chiamato come esperto nella progettazione dell’ultimo Piano ubanistico provinciale) c’è la necessità di integrazione fra gli aspetti più diversi del territorio. “In Trentino – ha detto – partiamo bene: qui, addirittura ci sono gli assessori locali all’agricoltura e alle foreste. La cosa che mi è parsa importante è che in Trentino una conformazione del territorio è più vicina alle forme di agricoltura tradizionale, si accompagna ad un territorio che ha subito profonde trasformazioni, in ogni caso c’è un’agricoltura di fondo valle che ‘se la fa’ con l’urbanistica. Tra le risorse con cui dobbiamo confrontarci non c’ è solo acqua terra etc., ma anche con quanto si fa, si pianifica. Il Trentino, in questo senso, è piuttosto abituato a confrontarsi, probabilmente per l’abitudine maggiore di cooperazione. L’elemento che caratterizza questo territorio è un’agricoltura che è collegata a fondo con il territorio. Un’altra componente importante per il Trentino è che il telaio del catasto agricolo ha dettato le regole del catasto insediativo. Questo deriva da un’abitudine a lavorare di conserva. Non sempre: ma la matrice c’è. La forma del paesaggio deriva profondamente da questa connessione della parte coltivata e l’insediamento abitativo e poi c’è la contiguità dell’insediamento con il bosco. Il bosco in Trentino – ha proseguito Castelnovi – più che da altre parti, è più legato all’agricoltura, è un bosco amico. Addirittura il pascolo è considerato un pezzo di bosco. Qui c’è una contiguità fra il sopra e il sotto del bosco e il pascolo sta dentro il bosco. La capacità di tenere il bosco in Trentino è ben sviluppata. Tutti questi elementi non sono casuali: già in un passato lontano i piccoli paesi della montagna avevano delle terre comuni. Questi elementi fanno parte dell’immagine dell’accoglienza che il Trentino propone al turista: una parte di agricoltura e insediamento ben collocato nell’ambiente agricolo, poi il bosco e quindi la montagna. Il Trentino è una delle poche province alpine dove le stagioni estive e invernali sono frequentate in maniera equilibrata dai turisti, non come succede in altre regioni che una delle due stagioni è stata potenziata (turisticamente) a sfavore dell’altra. L’agriturismo in Trentino è in forma di impresa diffusa, anche il contenimento delle seconde case e dell’edilizia fuori luogo sono elementi molto favorevoli al territorio e derivano da abitudine consolidate. Il Trentino non si vergogna del proprio territorio (a parte qualche caso).”. Lo studioso del Politecnico di Torino ha messo in eveidenza quanto sia importante tutelare il territorio agricolo di qualità perché “quando puoi vai a conteggiarlo ci si accorge che è poco: una risorsa scarsa”. Ma questa percezione della scarsità della risorsa si verifica direttamente. “In Trentino, il coltivatore percepisce come un’aggressore l’arrivo del capannone, il contrario di ciò che avviene nel resto d’Italia. Questa battaglia tra l’avanzamento della produzione industriale ‘senza faccia’ è un elemento molto promettente, bisogna ragionare però sul tipo di paesaggio si sta formando. Sono elementi di nuovo paesaggio sui quali ragionare e in cui l’agricoltura ha qualcosa da dire all’urbanistica. C’è una matrice forte sulla quale bisogna lavorare insieme: la matrice agricola deve chiedere un passo indietro all’ingegnere, e uno sforzo di invenzione a chi progetta l’agricoltura”.

Di grande interesse l’intervento dell’antropologo Annibale Salsa che ha cominciato dicendo che “il paesaggio è frutto di un lento processo di adattamento delle comunità umane insediate sul territorio. Ambiente, paesaggio, territorio: è una triade sulla quale bisogna fare chiarezza. Le due grandi rivoluzioni antropiche nel corso della preistoria e della protostoria, hanno riguardato la pastorizia (addomesticamento degli animali) ed è qui che avviene una profonda trasformazione dell’ambiente naturale (che era profondamente selvaggio). Il ‘pascolamento’ determina una profonda trasformazione attraverso tecniche e processi di forma anche arcaica (debbio – bruciare i residui colturali o della vegetazione). Quando possiamo parlare di paesaggio alpino? Avviene in maniera sistematica soprattutto nell’età medievale, per il grande processo di addomesticamento delle terre alte (la parte più alta, sopra al bosco) soprattutto nel Basso Medioevo. Cos’è il paesaggio? E’ una costruzione sociale e culturale, parlare di paesaggio naturale è una contraddizione in termini, un ossimoro. L’uomo è un animale culturale e a differenze degli altri animali si adatta ai territori plasmandoli secondo una visione del mondo. La realtà trentina è connotata da una profonda identificazione identitaria. Noi – ha continuato Annibale Salsa – manipoliamo dei concetti che sono attuali, ma sono il retaggio di un portato e di un precipitato storico. Il paesaggio ha due connotazioni particolari: nasce alla fine del Cinquecento e quello italiano è diverso dalla concezione anglosassone germanica e inglese. Nella visione latina prevale la componente antropica, nelle altre due visioni prevale la componente naturale. E quindi la storia della vita dell’uomo nelle Alpi è la lotta dell’uomo contro l’inselvatichimento. Il territorio è un ambito antropologico, segnato dalla presenza dell’uomo. Il paesaggio è il frutto delle rivoluzioni dei nuovi insediamenti medievali che cambiano la visione delle ‘terre alte’ nelle Alpi e ciò avviene quando l’uomo comincia a trasformare i territori in prati, campi e boschi. Questo mette in moto una trasformazione di civiltà giuridica e politica e vanno a crearsi dei paesaggi che ancora oggi possiamo individuare, riconoscere, identificare. La presenza dell’uomo è una presenza trasformazionale. E’ giusto parlare di governo, di gestione del paesaggio, perché l’uomo modifica il paesaggio. In epoca recente, soprattutto in Italia (che ha devastato il paesaggio) è nata l’emergenza paesaggio. L’economia alpina si regge su un equilibrio fra spazi aperti e spazi chiusi. Il problema dell’emergenzialismo ambientale va letto in chiave storica. Noi ci innamoriamo spesso delle ideologie e perdiamo di vista il relativismo storico. Non c’è paesaggio culturale senza spazio aperto. L’ideologia della wilderness è una ideologia e filosofia oltre-atlantico, e quegli ambienti sono profondamente diversi dagli ambienti alpini. Noi dobbiamo imparare a leggere la realtà nel suo dinamismo trasformazionale. La visione iperambientalista – ha continuato l’antropologo – che ha dominato l’immediato dopoguerra, ha cominciato ad essere cambiata qualche decennio fa. Le leggi naturali sono attraversate dall’entropia e la natura fa il suo mestiere. La saggezza e l’intelligenza dei pianificatori, dei politici è trovare un equilibrio fra spazi aperti e spazi chiusi. E questo è una buona pratica. L’idea che si fa strada con la nuova concezione del paesaggio è quello di una tutela attiva. La nuova idea di paesaggio da una parte lascia l’estetismo sogettivista e recupera l’importanza dell’ambiente in chiave eco-dinamica. Dobbiamo avere una chiara visione che la crescita qualitativa è di fondamentale importanza, il paesaggio trentino non ha le stesse caratteristiche di quello di un altro territori. Gli agricoltori di montagna sono a mio parere gli unici che possono salvare le Alpi. Quando l’agricoltura scimiotta l’industria, perde e, in un certo periodo – anche in Trentino – si è verificato. Nella visione dell’agricoltore c’è il legame con il territorio che il pastore non ha. Il pastore e la pastorizia sono un’altra cosa. L’autonomia fa parte della tradizione alpina. Dall’epoca dei grandi dissodamenti medievali legato al diritto comune medievale, i contadini avevano una prerogativa: erano uomini liberi. C’era una pratica contrattuale per cui la terra selvaggia doveva essere costruita secondi gli stilemi di quella comunità: così le Alpi sono diventate quello che sono, solo dopo gli Stati centralizzati (età napoleonica) hanno puntato di più sugli aspetti forestali. La realtà trentina è una realtà di eccellenza nel panorama nazionale. Qui le montagne non sono abbandonate. Il Trentino recepisce una tradizione dove la foresta ha un peso maggiore, in Alto Adige è diverso: appartiene di più alla tradizione tirolese dove il bosco è privato. La strada imboccata da questa realtà provinciale è giusta. Voglio richiamare la Convenzione delle Alpi con il suo protocollo dell’Agricoltura (solo il 5 maggio scorso è stata ratificato dall’Italia). Che cosa dice? Obiettivi: riconoscere le molteplici funzioni dell’agricoltura di montagna quindi anche al mantenimento degli insediamenti alpini. Quali sono le misure del protocollo? Produzione di qualità (inutile far concorrenza alla pianura padana), turismo, agricoltura in funzione del turismo (in Alto Adige lo hanno capito da tempo). I pericoli oggi sono due: eccesso di urbanizzazione (caso della Lombardia è emblematico) e dall’altra l’inselvatichimento che va governato. E qui bisogna assolutamente riflettere. L’interesse per la montagna, però, sta aumentando con giovani famiglie che tornano a vivere in montagna. Sono nuovi bisogni e, per dirla con Bauman, questo riflette il bisogno di comunità. E’ un aspetto molto importante e dietro c’è anche un profilo psicologico e di benessere psico-fisico provocato dallo spaesamento. A questo ritorno si deve accompagnare, però, ‘la mano politica’ perché la montagna ha bisogno di realismo non di una visione romantica. I ritorni spontanei sono destinati al fallimento perchè la vita in montagna è dura. La montagna, nel bene e nel male, è quella che si presta di più a visioni retoriche”.

Gli interventi della mattina si sono conclusi con la relazione di Viviana Ferrario che ha evidenziato come il paesaggio alpino ha avuto delle trasformazioni di lunga durata e di breve come, per esempio la sparizione dei seminativi (di versante) in tutte le Alpi, soprattutto nelle Dolomiti. La studiosa ha portato alcuni esempi e in particolare la Val Comelico dove era presente un paesaggio a scacchiera (altro non erano che ‘zappativi’ – lavorati con la zappa – di versante). Ferrario ha sottolineato come ci sia la presenza di piccole campagne in molte parti delle Dolomiti. “Nel Comelico abbiamo una testimonianza di eccezione con il geografo Marinelli. Egli ha fotografato fisicamente e con le parole il paesaggio a scacchiera che era caratterizzato da prati e seminativi alternati a lunghi anni di riposo. Il paesaggio dipende dallo sguardo dell’osservatore e lo sguardo puo’ essere ri-orientato. E, normalmente, la visione è orientata dalla politica. Il paesaggio, dunque, si prospetta anche sotto un punto di vista politico. Perché si verifichi una trasformazione del paesaggio, una nuova idea di paesaggio, questa deve essere condivisa. Il modo con cui noi guardiamo il territorio e ciò che facciamo è quello che fa costruire il paesaggio. Se è una società semplice, quello che ne deriverà è semplice. Il paesaggio è lo specchio di chi lo abita. Più è plurale e più è difficile governarlo. Il paesaggio delle Dolomiti è un esempio molto bello di paesaggio plurale (diviso al suo interno in termini linguistici, è stato confine di Stato; presenza di monasteri e di ‘magnifiche comunità’, presenza del Maso chiuso, presenza di confini amministrativi diverse- province ordinarie e autonome). Le modalità di gestione della montagna sono diverse (per esempio in Val di Fassa si andava tutti in montagna per l’alpeggio – dalle altre parti no, l’alpeggio era demandato). Nello stesso tempo, però, ha molti aspetti simili, ma ciò che si può dire è che manca una visione politica unitaria. Finora non c’è stata, ma forse ora, con la Fondazione, può esserci una sorta di spinta verso questa visione. Non è detto che le Dolomiti Unesco, da sole, possano farcela a condividere un’idea unitaria di territorio montano (delle Dolomiti), ma sicuramente danno una buona spinta. E’ importante che una strategia territoriale venga condivisa da tutti i soggetti”. Ma nelle Dolomiti com’è l’uso del suolo agricolo? “C’è – ha detto la studiosa – , anche qui, una grande diversità: per esempio nelle valli interne prevale il pascolo mentre nelle zone più esterne no. Nel loro insieme però le Dolomiti raccontano di un luogo dove prevale il prato dove, in qualche caso, predomina un approccio industriale, in altre, invece, un approccio più rurale. Dietro ai paesaggi che si trasformano prevalgono delle dinamiche. Ci sono, per la verità esmpi anche brutti come prati in abbandono, perdità di bio-diversità, rischio idro-geologico, il prato attorno al paese viene dato in affitto per il foraggiamento di mucche da carne (per esempio in Carnia), agricoltori che decidono autonomamente di recuperare dei prati inselvatichiti; ci sono agricoltori che si ostinano a fare agricoltura in condizioni disagevoli, agricoltori che provano a ricoltivare in alcune zone delle Dolomiti, quasi come attività di svago. Recenti ricerche dimostrano che il valore economico dell’agricoltura fatta per hobby è molto alto. Bisogna fare delle distinzioni: il paesaggio è, per alcuni, l’oggetto che va preservato nelle condizioni in cui si trova. Ma il paesaggio può essere usato anche come strumento di lavoro: per osservare e per il progetto, cioè ciò che una collettività pensa, vuole per il proprio futuro”. Nel pomeriggio sono state presentate alcune esperienze illustrate da Barbara Stoinschek (EURAC Research Insitute for Alpine Environment), da Tiziano Tempesta (Università di Padova), da Stefano Lunardi (Atelier Pojet Studio associato), da Furio Sembianti (Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia autonoma di Trento).(fs)