topolino cameriere Passati alcuni giorni dal varo del Piano vino per il Trentino pare non sia successo nulla, come previsto (qui) o, dio non voglia, come programmato. Un delitto intenzionale, infatti, è più grave di un delitto senza aggettivi.

Comunque sia, resta delitto anche l’occasione persa per fare ordine dopo anni di crisi. Cos’è, in definitiva, un piano che non riesce a fare ordine dove prima c’era disordine? Un fallimento annunciato. Incartato nemmeno tanto bene.

Veniamo ai fatti: la delibera della Giunta provinciale di Trento si basa sul lavoro (sic) dei due gruppi tecnici (produzione e promozione) incaricati da ultimo di trovare una soluzione all’empasse di 4 anni di studi e proposte per il rilancio della vitivinicoltura trentina e sul protocollo d’intesa firmato dai rappresentanti delle categorie interessate il 18 maggio scorso. Il mese successivo si era convenuto che la promozione non sarebbe più stata in capo alla Camera di Commercio, ma affidata ai produttori che si riconoscono nel Consorzio di Tutela dei Vini Trentini. Esattamente com’era stato per 50 anni e fino al 2000 prima della soppressione dell’Istituto Trentino del Vino. Prendiamo atto che ci sono voluti 12 anni per capire ciò che i padri non avevano mai nemmeno messo in discussione, ossia che la Tutela del prodotto non può essere disgiunta dalla sua Promozione. Per il semplice motivo che la mano destra non può non sapere ciò che fa la sinistra che è quanto, nel periodo, è successo con il progetto vino della Camera di Commercio. Autonomo dal volere e dal sentire dei produttori che, pur di non compartecipare alle spese, lo hanno avvalorato fino a che la mancanza di risultati concreti li ha indotti a chiedere il divorzio. Con buona pace delle autocelebrazioni.

Torniamo alla delibera: la strategia operativa prevede l’aumento della qualità delle produzioni (è dal dopoguerra che si dice così), l’introduzione di un marchio distintivo (un tempo era la DOC, Trentino in primis), la responsabilizzazione dei produttori (senza fare cenno alla compartecipazione alle spese promozionali), ma con l’accompagnamento di Trentino Marketing fino a che la struttura del Consorzio non si sarà organizzata anche per la promozione istituzionale. Ed ancora: sinergie fra produzione e commercializzazione (ci mancherebbe), fino alla novità della viticoltura di montagna o alpina. Come dire: non basta più dire “Trentino” o “Trento” per evocare i monti, bisogna specificare. Quasi che la montagna, nell’universo globo, fosse una prerogativa esclusiva. Ma va là. Chi sono ’sti strateghi della comunicazione? Appesi a quale aquila sono planati fino in Piazza Dante? E in Piazza Dante, come hanno fatto a farsi infinocchiare così? Domande che trovano risposta solo nel pressapochismo culturale e nell’autoreferenzialità che ne è la conseguenza.

Definita comunque la strategia, le azioni previste sono per la FEM di San Michele all’Adige (tecniche) e per il Consorzio Vini (promozione istituzionale). La FEM rivitalizzerà lo storico Servizio di enologia applicata, voluto negli anni ‘80 da Ferdinando Tonon e dal fondatore dei Vignaioli Gino Pisoni, stavolta focalizzato su “analisi e valorizzazione dei vitigni autoctoni o distintivi nelle varie zone“. Conosciamo gli autoctoni, presumiamo che i distintivi siano Muller Thurgau, Chardonnay, Pinot grigio, ma anche Merlot e Cabernet per la Vallagarina, Trentodoc, ecc.; ancora la FEM, come se questo non fosse già nei suoi compiti, preparerà enologi per valutazioni organolettiche, individuerà la tipicità per autoctoni e distintivi organizzando relativi concorsi, darà risposte a questioni enologiche avanzate dal Consorzio e favorirà la cultura d’impresa ed il marketing per le aziende. Quest’ultimo aspetto riserverebbe una delle poche novità, se non fosse già prevista dai programmi di formazione della Scuola di San Michele. Sempre la FEM, nel quadro della “sostenibilità delle produzioni, monitorerà le vocazionalità viticole, studierà per le varie zone le migliori scelte varietali, le forme di allevamento e di produzione con i metodi di coltivazione sostenibili“. Belle parole che attendono di impattarsi contro il muro granitico di chi, anche in questi giorni, non trova di meglio che indicare nel Pinot Grigio il vitigno da impiantare in ogni dove.

La delibera chiude frettolosamente confermando

– nel Consorzio di Tutela il soggetto rappresentativo unico (mai definito interprofessionale e men che meno paritetico) deputato “anche” alla promozione istituzionale ancorata alla sostenibilità, all’identità alpina ed all’affidabilità;

– in Trentino Marketing il soggetto, a tempo, che sosterrà il Consorzio nelle fasi iniziali della promozione;

– nelle reti d’impresa fra aziende il nuovo modo di essere, ancorché modificando le normative esistenti, ma rinviando all’anno venturo la modifica delle norme per la ristrutturazione e riconversione dei vigneti di cui al Regolamento 479/08 per incrementare autoctoni e distintivi. Punto.

Che dire in conclusione? Che il topolino ha partorito la montagna? Beh,se la montagna fosse solo del Trentino, potremmo anche starci. Ma qui la montagna è intesa in quanto tale, per cui saranno grati i viticoltori di qua e di là delle Alpi, degli Appennini e finanche quelli dell’Etna. Chi lo andrà a dire a quelli della busa di Arco (a 60 m slm) che loro no, non saranno della partita e chi tirerà la riga altimetrica sulla mappa ed a quale quota?

No, nessuna riga, tutto il territorio trentino è di montagna, per definizione! Ma allora, perché non insistere su “Trentino” e basta? Perché quella è l’acqua calda già inventata dai padri e qui, dopo tanto pensare, mica si poteva riproporla!

Insomma, un po’ di parole per aumentare la confusione, sfiancare anche l’ultimo dei moicani, togliere anche quel po’ di entusiasmo che fin qui ha sorretto giovani viticoltori, la loro voglia di vivere e, soprattutto, di sognare! Sognare un Trentino diverso, ripulito dalle oligarchie che lo stanno inchiodando ad uno schema che non può reggere alla trasparenza e alla coerenza pretese dal mercato dei vini di qualità. Ripartire dai viticoltori singoli ed associati al primo grado con un progetto “per” il territorio, laddove questo è ancora piegato agli interessi delle oligarchie nonostante il ridimensionamento delle liquidazioni. Separare le pur legittime attività industriali dalle sacrosante iniziative territoriali, coordinate da un organismo realmente interprofessionale e paritetico. Ecco, di questo non c’è traccia nel Piano vino varato dalla Giunta, anzi, fra le righe traspare la volontà di superare questi paracarri, evitandoli accuratamente, per cadere nel vuoto.

Tutto questo è molto triste. Ma è quello che si percepisce andando per vigneti e cantine che talvolta sembrano percorsi da zombi nemmeno più in grado di badare a se stessi e al mondo che abitano. Cos’altro sono quei produttori che hanno perso la percezione di ciò che andrebbe fatto e la voglia di fare, accontentandosi di quello che butta il convento?

Avrebbero avuto, se lo avessero letto e capito, il Dossier Vino della FEM, ma hanno lasciato che venisse cassato dai soliti noti. E mentre la FEM, ente funzionale alla Provincia, deve ora accettare mediocri indicazioni affatto risolutive, è stata ancora una volta la Provincia a dover trovare una soluzione … purchessia, all’ormai insopportabile inazione dei vertici consortili.