charmat lavis La notizia che l’ingegner Zanoni è combattuto fra la Segreteria generale della Camera di commercio di Trento ed il mantenimento degli incarichi nel gruppo La-Vis non fa che riconfermare le perplessità su tutta l’operazione. Questo blog se ne è occupato in passato e in questi giorni anche grazie ad interessanti contributi dei lettori. Se non ci fosse di mezzo il futuro di centinaia e centinaia di produttori si potrebbe anche pazientare ed attendere che la giustizia faccia il suo corso, dato che il fascicolo si è di molto arricchito dallo scoppio del bubbone, un paio d’anni fa.
La-Vis è il terzo polo vitivinicolo trentino, dopo Cavit e Mezzacorona. Poteri forti spalleggiati dall’imperterrita Federazione della cooperazione, mentre la Camera di commercio non s’accontenta della determinazione  della Giunta provinciale trentina che continua a sostenere il manager ed il suo operato. A completare il quadro, sullo sfondo, aleggiano anche gli interessi della Curia.
Lasciamo perdere qui ogni riferimento al dibattito che in Italia e nel mondo si fa sull’opportunità di morigerare gli emolumenti dei manager pubblici e privati: a Trento non è trippa per gatti, salvo piangere sugli attacchi all’autonomia. Duecentomila euro all’anno, infatti, non sono un record.

Il problema si pone quando la valutazione del dare/avere si fa al netto di un paio di garanzie che ogni buon manager non è abituato ad avere, ossia la protezione assoluta sul proprio operato da parte dei poteri forti a monte e le centinaia di soci-materasso da battere, a valle. Così foderati, di manager in grado di risolvere situazioni anche complicate, se ne trovano a iosa.
Varrebbe invece la pena di analizzare quanto fatto fino ad ora e quanto impostato per l’avvenire dal commissario-manager, ma servirebbe troppo spazio per cui ci limitiamo a due considerazioni, una generale ed una particolare.

Quella generale riguarda la filosofia, se così possiamo dire, che ha caratterizzato l’operazione. Nel mentre si è avviato il risanamento economico-finanziario del gruppo con dismissioni, ristrutturazioni e penalizzazioni, si è attivata la leva del marketing rimpolpando dirigenti, rivedendo linee di prodotto ed incrementando la forza vendita. Peccato che a monte si sia persa di vista la mission della cooperativa agricola (perché tale continua ad essere), lasciando alle sole parole l’impegno per una politica di territorio. La situazione è stata affrontata come se si trattasse di un’impresa industriale, ancorché con agganci al territorio. Tale, infatti, era diventata La-Vis con le scelte gestionali che hanno preceduto e poi portato alla sua crisi. Si trattava, ricordiamolo, di consolidarsi come terzo polo e ritagliarsi uno spazio per stare sui mercati alle condizioni dei competitor di riferimento. 
L’equivoco è qui. Cavit e Mezzacorona sono industrie vinicole con il territorio sullo sfondo, molto sullo sfondo. In primo piano hanno e devono avere la redditività, mentre gli altri valori vengono dopo ed anche il territorio, per sopravvivere, deve piegarsi a questo diktat. Pinot grigio docet.
La-Vis ante crisi era un esempio fulgido di come una Cantina sociale di primo grado poteva/doveva proporsi modernamente. Senza troppe società di capitale per aggirare le regole cooperative. Certo, la sistematica comparazione remunerativa delle uve con Mezzacorona che spalmava ai soci gli utili delle sue controllate, avrebbe reso insostenibile il confronto, per cui le scelte divennero obbligate.
Per capire, questo è un punto nodale. Infatti, chi di dovere o non ha fatto rispettare le regole o, se queste erano equivoche, sempre chi di dovere avrebbe dovuto decidere o legiferare per evitare uno sviluppo selvaggio dove il grande mangia il piccolo soprattutto sui mercati globali.
E’ il tema dei temi anche nel Trentino di oggi. Se ad esempio l’azienda di Ravina supplisce alle politiche di territorio, che le Cantine d’ambito hanno barattato in cambio del ritiro dei loro prodotti, supportare l’esigenza industriale di Cavit che abbisogna di grandi masse concentrate in pochi brand, condanna un territorio piccolo e variegato come il nostro ad un inesorabile declino. E’ il rischio che corre anche la zona di Lavis e Valle di Cembra.

A comprova di ciò, ed è la considerazione particolare sopra accennata, c’è un esempio molto tecnico che la dice lunga sull’impostazione data dal management attuale. A Cembra, Cantina di montagna, si è installato con grande enfasi un torchio verticale Marmonier ancora in uso nella Champagne ed utilizzato anche da un paio d’aziende franciacortine. Nel 2012 appare roba da apprendisti stregoni, imbonitori d’altri tempi. Infatti, dopo il torchio verticale concettualmente d’epoca romana, fin dagli anni ’80 si era passati alle presse pneumatiche orizzontali tipo Bucher per giungere qualche anno fa alle presse a piatto inclinato tipo Coquard, molto probabilmente le più efficaci oggi nel rapporto tra pressatura soffice ed estrazione. La scelta retrò per il torchio sarà anche romantica, ma stride con C’Est La-Vis lo slogan della nuova linea di prodotti dove la bottiglia satinata e serigrafata costa quasi quanto il contenuto.
Fuochi d’artificio in una stagione che reclama concretezza.

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