15631E’ durata un giorno la notizia del bel bilancio Cavit 2011/2012. Poi nessun commento, nessun approfondimento, tutto normale o … normato. I viticoltori presenti hanno lasciato l’assemblea soddisfatti perché riceveranno di più dell’anno scorso, il paradiso l’ha promesso loro il parroco ed il resto non interessa.
Ma vi pare che un blog come questo possa lasciar passare la cosa senza dire nulla? Ovviamente no, anche se in Cavit e nell‘arcipelago coop-politico tutti farebbero volentieri a meno di una critica che sarà comunque bollata come distruttiva. Siamo controcorrente. A noi interessa parlare al conducente e verificare la rotta, più che controllare il conto in banca. Del resto non siamo a libro paga di nessuno ed allora ecco alcune considerazioni fra le tante possibili, lasciando stare il bilancio ufficiale che, come diceva un vecchio amministratore, è come l‘elastico delle mutande: lo tiri dove ti pare.
Prendiamo solo tre cifre: 643 mila ettolitri di vino conferiti dai soci, le cantine portano al consorzio il 75% di quanto producono, 60 milioni le bottiglie vendute.
Per un’industria cooperativa come Cavit è tutto ok, specie in tempi di crisi. Se pensiamo che l’altro competitor cooperativo, Mezzacorona, fa più o meno altrettanto, già gli ettolitri cominciano ad essere troppi rispetto alla produzione trentina che ogni anno è fra i 700 e gli 800 mila, soprattutto se aggiungiamo gli altri grossi imbottigliatori come il gruppo La Vis, Concilio, Ferrari ed il centinaio e più di minori che pure si contendono la merce di partenza. Insomma, il conto torna solo se consideriamo che si commercializza due volte e mezzo ciò che si produce. I dati esposti sono veri, ma i dati sono dati. A rendere, infatti, è l’industria del commercio.
Nessuna bugia nemmeno quando si fa riferimento al conferimento dei soci, lasciando credere che di trentini si tratta, quando si sa che molti sono veneti e che anche fra le cantine locali qualche cisterna extra entra prima dei conferimenti al consorzio.
La tremenda scorciatoia di risolvere i problemi trasformando le Cantine associate di primo grado in centri di raccolta in funzione di Cavit sta forse sanando i bilanci, ma certamente svaporando le storiche identità territoriali. 
Di questo non s’è sentito dire nulla in assemblea, come nulla – e moralmente più grave – s’è detto della quantità di vini DOC Trentino trasferiti ad altre denominazioni o declassati a categoria inferiore per una commercializzazione sui mercati lontani dove l’origine trentina non fa agio, apparendo addirittura d’impiccio.
Che siano state proprio queste faccende alla base dell’improvvisa sostituzione del poco allineato Vice presidente Roncador con il dellaiano Luterotti? Hanno votato in dieci, sette favorevoli e tre schede bianche. Mah.  
Né conforta l’aver sentito ribadire che va sbloccata l’annosa empasse del mondo spumantistico senza uno straccio d’indicazione da parte del presidente che di Cavit è direttore generale. Se non lui, deve essere per caso l’ultimo dei trentodocchisti a fare la proposta? Mah.
Alla fine di un’assemblea di 4500 deleganti vitivinicoltori trentini, buona metà di tutti, sul terreno è rimasto il cadavere del territorio. Verrebbe da dire quasi putrescente, comunque in attesa d‘identificazione.