imagesAnche per dare ancora un po’ di fastidio (amichevole) all’amico Saint-Just (il Conte), che ci vorrebbe tutti sobri professionisti della critica enologica, ribadisco che questo blog è assai poco serio. E così intende rimanere: un divertissement in cui a volte si parla anche di vino. Ma per parlare d’altro. E oggi parlo d’altro. Parlo dell’ultimo disco del Maestrone Francesco Guccini, uscito nei giorni scorsi. L’ultima Thule, questo il titolo. Non starò qui a raccontare delle canzoni, degli occhi liquidi, dell’emozione, del piacere, che ho provato nel riascoltare la voce di questo mio (e ti tante generazioni) maestro di parole e di vino. Andate ad ascoltarvelo, anzi andate ad acquistarlo. Lo si può fare anche in formato digitale, a poco più di un euro a brano. Spendo due parole, invece, su una canzone contenuta in questo disco: Canzone di Notte (n°4).

La prima Canzone di notte del Guccio risale a tantissimi anni fa, al 1970. Comparve in quello che secondo me resta uno degli album più belli e poetici di questo cantastorie appenninico: L’isola non trovata. Un concept album che ruota interamente al tema del tempo. La seconda Canzone di notte, comparve in Via Paolo Fabbri 43, disco dominato dall’incazzatura e dalla rabbia dell’Avvelenata: era il 1976. Poi, dopo 11 anni, nel 1987 una terza Canzone di Notte, in Signora Bovary, piccolo capolavoro intimista in cui compare anche un bellissimo testo firmato da Claudio Lolli: Keaton. A distanza di 25 anni, l’altro giorno l’ultima Canzone di notte, la numero quattro.  Ascoltare in sequenza questi quattro brani, che raccontano la biografia personale e poetica del maestrone, è anche un po’ come sfogliare la mia vita e le mie notti. Attraversate dal vino, quando i pensieri, fortunatamente, si fanno ubriachi. E poi la bottiglia è vuota. E anche se si muore solo un po’ chi se ne fotte, ma sia molto tardi che si va a dormire. E allora notte, che mi porterai? rimpianto, quiete, noia o verità? o indifferente a tutto te ne andrai senza pietà?

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