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[Strati d’animo – Paola Attanasio]

di Massarello – Sabato scorso a Trento ci sono state tre processioni: quella laico-borghese della Confraternita della Vite e del Vino, quella catto-religiosa per i 450 anni dalla chiusura del Concilio e quella popolar-turistica dei mercatini di Natale. Galeotto fu il Simposio d’Inverno della Confraternita dove l’affabile Gianpaolo lasciò cadere a bruciapelo … la proposta: di lì a poche ore ci sarebbe stato un incontro riservato coi cavalieri neri pardon, con i Pinot neri. Località prescelta, alle porte di Rovereto ristorante San Colombano, di fronte all’Eremo. Lunedì, giorno di chiusura. Convenuti, una ventina fra motivati produttori ed altri che ci credono. Credono in cosa? Nella necessità/possibilità di posizionare questo vino – un unicum dell’enologia – almeno sul terzo gradino della scala europea, dopo Borgogna ed Alto Adige. Magari sul secondo, assieme agli amici di Bolzano.

L’atmosfera era delle migliori per questo genere d’incontri: riservatezza quanto basta per non distrarsi e fare, alta motivazione perché la crisi aguzza le idee, un nemico senza volto da combattere che serve per fare squadra. Un’atmosfera, insomma, che mi ricordava i racconti di mia madre piccola carbonara che nei primi anni ’30 frequentava di pomeriggio la Katakombenschule in un fienile di montagna dopo aver passato la mattinata a cantare “Giovinezza, giovinezza”. Imparò bene sia il tedesco che l’italiano, imponendolo poi anche ai figli. Un regalo prezioso, lasciatemelo dire, che Ettore Tolomei fece – suo malgrado – agli altoatesini che oggi padroneggiano i due idiomi con i vantaggi che sappiamo. Per assurdo, ma proprio assurdo, se la buonanima del povero Adolfo avesse imposto la legge del contrappasso nell’Alpenvorland rendendo obbligatorio il tedesco ai tirolesi del sud (trentini), oggi sapremmo relazionarci con minori difficoltà. Tolomei fu il tale che italianizzò i nomi delle località dell’Alto Adige e che degli ottusi oggi vorrebbero eliminare, dimentichi che buona parte del business arriva da sud. Tolomei stava a Glen, ribattezzato nell’ovvio Gleno, frazione di Montan (Montagna) come Pinzon (Pinzano) che, con Mazzon di Egna (Neumarkt), sono il terroir che assicura a quel Pinot nero il secondo posto di cui sopra. Parlare un’altra lingua e conoscere un po’ di storia serve, anche se infarcita di cattivi maestri.

La buona notizia è che anche oggi ci sono dei carbonari, come altro definire quei giovani che mettono il loro entusiasmo nel tentativo di raggiungere obiettivi che l’apparato istituzional-referenziale sta mortificando da oltre un decennio? Certo, si è accennato al fatto che fuori provincia l’appeal del Trentino è buono e che gli unici a parlarne male sono i giornalisti nostri … Cosa buona e giusta, verrebbe da dire, visto che chi dovrebbe indicare la via si guarda bene dal progettare una qualsivoglia ipotesi di sviluppo. Largo ai carbonari, allora, ai giovani stanchi di mordere il freno, finalmente consapevoli della potenzialità inespressa che hanno in mano. Infatti, l’assaggio di una dozzina di Pinot nero, vendemmie dal 2007 al 2012, tutti tipici e alcuni veramente pregevoli, ha evidenziato che la base c’è. Si sta cercando una strategia condivisa: questo l’obiettivo di Gianpaolo Girardi, supplente generoso, che dalle catacombe dispensa preziosi consigli enfatizzando con rara competenza gli atteggiamenti vincenti dei vigneron borgognoni e dei Winzer altoatesini. Mettendo per subito una bandierina sul Ristorante San Colombano di Via Vicenza, 30 a Rovereto (0464.436006) dove Alessio ha già in carta tutti i Pinot nero del Trentino. In una degustazione ceca fra sette Pinot nero con tre big altoatesini, i quattro trentini due settimane fa, se la sono giocata alla pari. Il consiglio, quindi, è di affrettarsi fintanto che i prezzi sono la metà di quelli degli amici-competitor, perché se i carbonari avranno il successo sperato, è ovvio che pareggeranno in poco tempo anche il prezzo.