Solitude - Paola Attanasio
Solitude – Paola Attanasio

Trascrivo un paio di edificanti conversazioni origliate in questi giorni, durante uno dei tanti appuntamenti enologici che si sono rincorsi nelle ultime due settimane. Non avendo preso appunti, riporto il virgolettato così come mi è rimasto in testa.

Carta Straccia, Digital Stracciato

Mi trovo accanto ad un gruppetto di produttori trentini. Loro non mi vedono – almeno credo -, perché sono coperto da uno scaffale. Stanno ipotizzando un percorso comune che porti alla costruzione di un nuovo consorzio, o qualcosa di simile, per la promozione di una delle DOC più nobili del Trentino.

Produttore 1: “Bello, bello dobbiamo impegnarci su questo. Ma dobbiamo riuscire a portare dalla nostra parte anche i giornalisti e gli opinion maker. E non sarà facile. Sono tutti legati al carrozzone”.

Produttore 2: “Beh, dovremmo far leva sulla loro sensibilità, sulla loro attenzione ai temi del territorio”.

Produttore 3: “Non preoccupatevi dei giornalisti; quelli si fanno portare dove vogliamo noi. Ormai li conosciamo. Date retta a me: basta poco per convincerli. La maggior parte di loro è pronta a saltare su qualsiasi carro. Quello della comunicazione è l’ultimo dei nostri problemi”.

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Il vino, la filosofia e la patata

Rubo la conversazione fra un produttore trentino e un paio di wine lover milanesi di passaggio sotto i cieli delle Alpi. Il produttore è uno dei pionieri trentini del bio e di tutto il resto. Una delle persone più serie e trasparenti che mi sia mai capitato di incontrare.

Wine lover 1: “Quale è la sua filosofia?

Produttore: “Io non sono un filosofo. Sono un contadino. Faccio vino, patate, mele. Possibilmente osservando protocolli bio, quando la stagione lo consente. Ma non scrivo manuali di epistemologia”

Wine lover 2: “Ma lei a che cosa si ispira, quale è il suo modello di riferimento?

Produttore : “Io mi ispiro alla patata. La patata quando è buona e buona e quando non è buona è solo una patata. Questo mi fa capire se sono un bravo contadino, se il terreno è un buon terreno, se l’annata è favorevole. Tutto il resto è filosofia. E io sono stanco di sentir parlare di filosofia. Ormai non si vende più il vino, si vende la filosofia della cantina, del guru dell’enologia, si vende l’estetica del personaggio, si vendono storie e parole: il vino è passato in secondo, anzi in ultimo, piano. E’ l’ultima cosa di cui ci si occupa. Io invece vorrei fare solo vino e vendere solo vino. Possibilmente buono, possibilmente piacevole, possibilmente rispettoso dell’ambiente. Possibilmente”