Lu nfascinu – di Paola Attanasio
Lu nfascinu – di Paola Attanasio

A noi ci ha rovinati il perfezionismo di San Michele: ci hanno insegnato a fare vini perfetti, da manuale, che però non tenevano mai conto del gusto in evoluzione del consumatore, del principio della bevibilità”. Sono le parole di un enologo di vaglia, che oggi ricopre un ruolo di primo piano nel sistema vinicolo cooperativo trentino, a proposito del successo mondiale del Prosecco. Di questo prodotto enologico che ormai è in grado di esercitare un’egemonia culturale, che va oltre il suo valore intrinseco di vino. E mentre davanti ad un bicchiere di Brut 600UNO Concilio, si ragionava di queste cose è arrivato il giudizio tagliente dell’ex allievo dell’Istituto Agrario di San Michele.

Non so se, e quanto, abbia ragione. Probabilmente, però, in parte è vero: mentre noi si stava, e si sta, a discettare sui dosaggi di un Metodo Classico ormai quasi perfetto in tutte le sue tipologie, in Veneto e in Friuli si andava costruendo un vino come il Prosecco; un vino sufficientemente facile e disinvolto, per lo più con un buon residuo zuccherino da renderlo gradevole al punto giusto per una bevanda destinata ad essere consumata fuori pasto. E mentre lì passo dopo passo si costruivano le basi di un successo commerciale senza precedenti – 300 milioni di bottiglie nel 2013, mentre nel 2014 il Consorzio della Doc ha già svincolato un terzo dello stock di riserva – anche attraverso una rigorosa tutela territoriale, in Trentino si inseguiva il mito della perfezione enologica disgiunta dalla percezione di gradevolezza del consumatore, soprattutto straniero. E disgiunta anche dal territorio. All’inseguimento dell’irraggiungibile archetipo champagnista.

E’ intrigante la chiave di lettura del mio interlocutore. Anche perché introduce un tema di cui in Trentino, forse per pudore, forse per (dis)interesse, si parla poco, quello dei vini spumantizzati con tecnica Charmat. Oggi fenomeno che vale, secondo stime approssimative ma verosimili, circa 5 milioni di pezzi, egualmente distribuiti fra prodotti da uve Mueller e prodotti da uve Chardonnay. Un numero di bottiglie irrisorio, rispetto alla produzione complessiva del Trentino da uve trentine (135 /140 milioni), ma non distante, almeno in volumi, dalla produzione di Metodo Classico (8 milioni).

Perché, come si è fatto con la Glera destinata a Prosecco, anche in Trentino, ricco di uve che si prestano bene anche alla rifermentazione in autoclave e di cui oggi si registra una sovrapproduzione, non si è mai creduto seriamente ad un prodotto charmatizzato? Eppure Chardonnay e Mueller, rappresentano circa il 40 % del vigneto. E nella versione ferma, il loro mercato è pressoché inesistente e comunque, a parte rari esempi, confinato a livelli di prezzo quasi umilianti. La via d’uscita, poteva – o forse potrebbe ancora essere – la strada dello Charmat, oggi praticata solo dalle grandi centrali cooperative (La-vis, soprattutto con Cesarini, Sociale di Trento, con Concilio, Cavit e da qualche tempo, ma con tecnologia non sua, da Mezzacorona) e da pochi altri piccoli produttori che lavorano su una fascia di prezzo che sfiora quello medio di un metodo classico base. Me ne vengono in mente un paio Salizzoni (Maybe) e da poco Martinelli (D&D). Piccoli produttori che oggi, tuttavia, sono comunque costretti a spumantizzare in Veneto, mancando in Trentino tecnologie disponibili e alla loro portata.

La materia prima, però, c’è. Chardonnay e Mueller, insieme, potrebbero essere la base per qualcosa come 30/35 milioni di bottiglie, fatto salvo il vigneto destinato al metodo classico e quello pregiato di montagna. Niente a che fare con i numeri del Prosecco, naturalmente. Ma gli spazi, in Italia e all’estero, per un vino così, c’è. L’esperienza virtuosa del vigneto veneto – friulano lo dimostra. Ma forse, per fare questo, dobbiamo lasciarci alle spalle il mito archetipico della perfezione.