drzewko

La notizia del sondaggio Nomisma sulla reputazione nazionale del vino trentino, diramata l’altro giorno con l’enfasi di un bollettino della vittoria dalla Camera di Commercio, è stata quasi ignorata. Peccato, perché se ne sarebbe potuto ricavare un ritratto magistrale del trentinismo trentone.

La stampa di carta vi ha dedicato solo qualche riga. E poi ha lasciato correre. I produttori, come spesso fanno, hanno scrollate le spalle. Qualcuno ha mugugnato (almeno con me), qualcuno ha mostrato di apprezzare. Ma è finita lì. Gli opinionisti hanno preferito tacere. I social sono rimasti più o meno silenziosi. Mi è capitato di leggere solo un tweet di un produttore entusiasta e poco altro.

Questo deserto silenzioso, oggi è stato rischiarato dalla voce critica degli autori del sito Imperial Wines, di solito compostamente ed educatamente distaccati dall’attualità vinicola. Ma questa volta, anche da loro sono arrivati giudizi poco lusinghieri sulla numerologia enoica della Camera di Commercio. Mi sono sentito in buona, anzi ottima, compagnia.

Qualcuno, però, da qualche giorno si sfrega le mani. E comincia a citare lo studio Nomisma come una bibbia: “Il Trentino, ormai è assodato, è una terra di bianchi. Il sondaggio ha confermato le nostre sensazioni”. Affermazione perentoria che ho sentito pronunciare venerdì mattina in uno dei palazzi che contano di Trento.

Certo che qualcuno si frega e si sfrega le mani. Il sondaggio racconta una realtà che è esattamente quella immaginata e costruita dalle istituzioni enoiche e dai loro oligarchi. A loro, i risultati di questo sondaggio non potevano non piacere. Perché ricostruiscono sulla carta il profilo di un’architettura industriale di cui sono, e sono stati, gli autori.

La sintesi è questa:

  1. Il vino trentino non patisce di alcun problema di immagine; anzi è presente mediamente con 15 etichette in oltre tre quarti della ristorazione italiana di qualità. Per la quale rappresenta il 12 % del giro d’affari della cantina.

    Messaggio: La barca sta andando a gonfie vele. La reputazione è ottima. E quindi non si disturbi il manovratore. Please.

  2. La montagna è la suggestione a cui il consumatore nazionale è più sensibile quando deve spendere i suoi soldi al ristorante. E nella scala dei vini di montagna il Trentino viene appena dopo l’Alto Adige e il Piemonte.

    Messaggio: La strategia di marketing partorita in questi anni è corretta e non va cambiata. Vale tanto per il TRENTODOC, quanto per i vini fermi. Il consumatore italiano ormai si è affezionato all’idea delle vigne abbarbicate sulle cime dolomitiche.

  1. Il Trentino è una terra vocata alla bacca bianca, non solo dal punto di vista quantitativo (la composizione del vigneto) ma anche nell’immaginario del consumatore di fascia alta. Tanto che nelle carte vini nazionali il Trentino viene collocato al terzo posto (19 %) dopo il Friuli Venezia Giulia (41%) e poco dopo l’Alto Adige (23%). Le preferenze dei consumatori rispecchiano questa classifica.

    Le cose cambiano completamente se si guarda invece ai rossi: il Trentino si colloca in fondo alla classifica, peggio fa solo la Valle d’Aosta, sia per composizione della carta vini, sia per preferenze dei consumatori.

    Messaggio: Il vigneto a bacca rossa non interessa più il mercato e quindi va espiantato. Per far posto alla bacca bianca: Pinot Grigio, naturalmente.

E a questo proposito una chiosa è utile farla. Dietro al vino ci sono interessi importanti. Del resto la viticoltura e l’imbottigliamento sono un’economia che genera reddito. L’economia del vino trentino – con un fatturato che si aggira attorno al mezzo miliardo di euro – si regge sul bianco industriale da esportazione. Sul mercato nazionale per il prossimo futuro si intravedono, però, serie difficoltà di approvvigionamento. Il Veneto, massimo fornitore di materia prima per l’industria trentina, sta perfezionando e rafforzando il sistema delle sue denominazioni: quando l’aggiustamento sarà a regime l’industria di casa nostra potrebbe risentirne pesantemente. E pericolosamente. Ecco perché, Pica o non Pica, oggi si sta spingendo ancor più che in passato sul vigneto di Pinot Grigio e si sta sollecitando l’espianto di quel poco di bacca rossa ancora rimasta in Trentino (per esempio il Marzemino). Chi non ci sta è fuori e fa la fine di quelli di Isera (altra storia assai poco edificante di cui un giorno, a bocce ferme, magari vi racconterò). Ora lo dicono, e lo certificano, anche i consumatori.

Tutto chiaro?

Il resto sono solo fole. O fuffa. Buona per l’estate che non arriva.