Tutto il mondo è saltato
Tutto il mondo è saltato – Paola Attanasio

Ogni tanto, raramente, mi capita di pensare che in Trentino ci sia anche una classe politica all’altezza, che ragiona e parla oltre gli schemi e i luoghi comuni, gli stessi, luoghi comuni, che il il trentino medio, tuttavia, ad ogni elezione dimostra di apprezzare sopra ogni altra cosa.

Però ogni tanto mi capita di osservare che in questo mare magnum dominato dalla mediocrità politica,  c’è anche qualcuno che ha il coraggio di dire cose scomode. E mi capita di pensare che forse, faticosamente, sta crescendo una nuova classe politica che sa “fare la differenza” e che sa “stare sul presente”, come suggeriva l’altro giorno l’ex direttrice del Mart, Cristiana Collu, nel suo discorso di addio, quasi del tutto inascoltato, perché scomodissimo, al museo roveretano.

Mi è capitato di pensare questo l’altro giorno, quando ho sentito la compagna Donata Borgonovo Re – mi perdonerà se mi permetto di chiamarla così -, denunciare apertamente – stava parlando in un’affollata sala pubblica nella veste di assessore alla Salute – lo spreco di risorse provocato insaziabilmente dalle procedure burocratiche anchilosate che anche in Trentino si sono impossessate della cosa pubblica. Sanità compresa. Procedure e processi decisionali inefficienti perché autoreferenziali e orbi di una visone di complesso e di sistema.

E mi è capitato di pensare la stessa, anche qualche giorno fa leggendo il resoconto dell’intervento dell’assessore all’Agricoltura Michele Dallapiccola, al convegno sulla sostenibilità in agricoltura, promosso da via Segantini. Ha dichiarato l’assessore: “Il mondo chiede risposte ed azioni concrete: il tempo delle parole è finito. L’autoreferenzialità non basta più, occorre dimostrare, ad esempio, che il prodotto di montagna è migliore rispetto ad altri”. Parole sante che traducono sul piano politico un imperativo perentorio che abbiamo ripetuto tante volte su questo blog: liberarsi dal riflesso condizionato dell’autoreferenzialità. Quel condizionamento che da decenni ci fa dire che tutto ciò che avviene fra Borghetto e Salorno appartiene al migliore dei mondi possibili. E che ci fa pensare che quello trentino assomigli ad una specie di popolo eletto, che riesce meglio in tutto ciò in cui si cimenta: dallo spegnere incendi, al fabbricare metodo classico. Dal cucinare le quaglie, al costruire grattaceli. Chi frequenta luoghi più a sud i Borghetto e più a nord di Salorno, sa che questa è una balla formidabile. Utile solo alle classi dominanti per conservare la loro egemonia culturale e politica presso un elettorato addomesticato a cui piace da morire farsela raccontare.

Ora, un assessore di estrazione autonomista, finalmente, ci sollecita ad uscire dalla trappola mentale e culturale dell’autoreferenzialità. Per esempio ci sollecita a dimostrare con i fatti, e non con le parole, che il nostro Metodo Classico è un vino di montagna. E che il vino di montagna, quando lo è per davvero, è migliore rispetto a quello di collina o di fondovalle.

Lo stesso assessore, un anno fa, all’indomani del suo insediamento, se non erro davanti alla platea degli studenti dell’Istituto Agrario di San Michele, si era lasciato andare allegramente alla retorica trentinista del popolo eletto: i trentini sono diversi, affermò incautamente. Dopo un anno, per fortuna, ha cambiato opinione. E anche questo è un segno di intelligenza. Di cui c’è bisogno come l’aria. E come il pane. E come il Metodo Classico di montagna.