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Davanti alla fotonotizia di apertura del Corriere di oggi, stamattina ho sentito lettori ridere, altri li ho sentiti sogghignare e altri sbottare in un “finalmente”. Io non ho riso, non ho sogghignato e non ho nemmeno pensato ad un “finalmente”.
La notizia del deposito, da parte di alcuni ex soci, di un istanza fallimentare contro la La-Vis, non mi ha fatto alcun piacere. Anzi mi ha messo tristezza. E mi auguro, sinceramente, che questa istanza non sia accolta e, anzi, apra la strada ad una soluzione politica “alta” per una vicenda che è stata, e continua ad essere, un pugno nello stomaco del Trentino, della cooperazione e della viticoltura.
Quando invoco una soluzione politica “alta”, non penso a una valangata di contributi pubblici drenati da Piazza da Dante per tenere in piedi artificialmente un’azienda ormai allo stremo. Penso, invece, ad una soluzione, che consenta di soddisfare, per quanto possibile, i creditori e allo stesso tempo assicuri la continuità culturale, almeno culturale, alla viticoltura cooperativa lavisana.
E’ una soluzione, qualcuno anche su questo blog la aveva abbozzata già un anno fa, che si regge sul presupposto ineliminabile dell’azzeramento dell’attuale gruppo dirigente, amministrativo e manageriale. A cui non dovrebbero, e non possono, essere fatti sconti. Ed è una soluzione che passa per la costituzione, per dirla brutalmente, di una bad company, su cui traferire l’indebitamento, e la rifondazione di una nuova La-Vis, disposta a fare la cantina di territorio; rinunciando a una volta per tutte ad avventurarsi nel macrocosmo dei gruppi industriali: in Trentino c’è già chi lo fa e mi pare con un certo successo.
Alla nuova La-Vis dovrebbe competere, invece, il compito di interpretare il ruolo di polo e di punto di riferimento per tutto il Trentino della viticoltura cooperativa di primo grado. A La-Vis ci sono competenze, territorio, materia prima, risorse personali di prim’ordine: la stagione pionieristica della prima La-Vis lo aveva dimostrato.

Si dirà che sono un ingenuo, immaginando una soluzione all’Alitalia. No, non sono un ingenuo. E non penso all’Alitalia. Penso che i soci della nuova La-Vis debbano, invece, rimboccarsi le maniche per ristorare, per quanto possibile, i creditori e debbano essere disposti a fare grandi e sanguinosi sacrifici almeno per i prossimi dieci anni, rinunciando ad alte rimuneratività e forse anche a quote consistenti del prestito sociale, agito in qualità di soci sovventori. Ai soci, in questo momento, credo si debba chiedere soprattutto di cambiare forma mentis. E’ tutta loro la sfida. A loro, e solo a loro, spetta il compito di rovesciare le modalità con le quali fino ad oggi hanno interpretato il loro ruolo dentro la società.
A loro spetta il compito di riprendersi la cooperativa, liberandosi dall’equivoco che prima li ha addomesticati e poi li ha rovinati: la convinzione, maturata negli anni del dellaismo accecante e accecato di cui per altro tutto il Trentino è stato vittima per un certo numero di anni, che la mano protettiva e rassicurante della politica di regime li possa salvare comunque e ad ogni costo. Perché di quella mano oggi, per fortuna, resta solo il vago simulacro del ricordo.