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Mentre a Verona, mi dicono, sta impazzando il festival dei sorrisi, delle bottiglie, dei “macciao, come stai”, dei “machebbuono questo vino”, dei “maqquando vieni a trovarmi in cantina”, provo a fare qualche banale considerazione di sistema. Che mi va di condividere con voi.
Mi chiedo, ha senso, ancora, fare il giornalista (o il blogger) del vino (ma anche di altro)? Cosa vogliono produttori, politica e consumatori? Informazione, libera e magari a volte anche insolente, oppure pubbliche relazioni e “comunicazione&propaganda”? Sarò pessimista, ma penso, che alla fine tutti loro, forse consumatori compresi, vogliano soprattutto le seconde, pubbliche relazioni e comunicazione propagandistica. Insomma selfie sorridenti, foto di bottiglie, applausi e due righe di recensione (positiva) da qualche parte.
Vi racconto un piccolo aneddoto, capitatomi in questi giorni. Non faccio nomi né cognomi, tanto vale per tutti.
Qualche settimana fa ho ricevuto un’email da un celebre consorzio, mi si invitava a visitare lo stand istituzionale, all’interno del quale sarebbe stata presentata la nuova campagna promozionale dedicata ad certo territorio. Spese di viaggio per Vinitaly a loro carico. Cosa buona e giusta, chiaramente. Ho risposto, però, che vivendo piuttosto vicino a Verona, mi sarei arrangiato in autonomia. Allo stesso tempo, tuttavia, chiesi di segnalarmi orario e giorno della conferenza stampa prevista per l’illustrazione della “nuova campagna”. La mia cortese e tutto sommato scontata domanda, deve averli leggermente scombussolati: la risposta arrivata di lì a poco, infatti,suonava pressapoco così: “In realtà non abbiamo pensato ad una vera e propria conferenza stampa, abbiamo invece previsto un aperitivo seguito da un buffet, a cui eventualmente, se lo riterrà utile, potrebbe anche seguire una chiacchierata”.
Eventualmente una chiacchierata. Eventualmente.
Naturalmente ho declinato l’invito; loro, dall’altra parte del monitor, avranno pure pensato che sono un coglione. E si saranno chiesti, magari pure in buona fede, “ma cosa cazzo pretende questo qui, gli paghiamo il viaggio, gli diamo da bere e da mangiare. Cosa vuole di più?“.
Tutto questo,però, mi fa capire che ormai non sia più percepibile la distinzione fra comunicazione e informazione, fra pubbliche relazioni e giornalismo. O perlomeno mi pare che il confine sia oramai fluido e fragile.
Eppure una qualche differenza ci dovrebbe pur essere: perché, sono sicuro lo capirebbe anche un bambino, che una cosa è chiacchierare amabilmente fra un aperitivo e un altro, magari sdraiati comodamente su un divanetto in pelle e un’altra cosa è sedersi sulla seggiola di una sala stampa per ascoltare quello che si deve ascoltare e poi sentirsi liberi di alzare la mano per fare una domanda, magari scomoda. Magari sgradita.