la vite è bella

Inaspettatamente ricevo, dall’amico Giorgio Cestari, questa gustosissima cronaca di una giornata trascorsa a Vinitaly 2015. Con piacere la condivido con i nostri lettori.

L’uomo si compone di ciò che ha e di ciò che gli manca (Ortega y Gasset)

di Giorgio Cestari  – Al Vinitaly la dimensione del tempo e della volontà si deforma e va un po’ perduta: non ho fatto alcune visite a cui tenevo, in cambio però ho finito per assaggiare vini mai nemmeno sentiti nominare: per dire il Fumin, vino rosso direttamente dall’agricoltura eroica valdostana.

Una delle tendenze maggiori che ho visto è stata quella alla spumantizzazione di tutto. Ho bevuto spumanti di Timorasso e di Nebbiolo e perfino di Malbo gentile; peccato non essermi segnato le prime due cantine, ma il Malbo si: è il Malbolle del Podere il Saliceto (Campogalliano!), uno spumante metodo classico color buccia di cipolla piacevolissimo e beverino ovviamente diverso rispetto agli austeri tridentini a cui sono abituato. Il produttore Giampaolo l’ho visto elegantissimo e stanco, sempre però gentile e pronto col suo sorriso. E’ uno della nuova generazione di vignaioli emiliani che punta sulla qualità anziché sulla quantità, ed i risultati si sentono eccome.
A qualcuno sembra andar male: non dirò chi, dato che mi ha fatto una confidenza senza pensare che ne avrei scritto, si lamentava di aver visto molti curiosi, parola pronunziata con una sfumatura francamente spregiativa, e pochi uomini d’affari. A qualcuno però credo forse possa essere andata bene: prima di scendere avevo ricevuto l’invito dalla dott.ssa Giulia Pedrini di andare alla Pravis a scambiare due chiacchiere; hai voglia!  in tre volte che sono passato apposta davanti al suo stand l’ho vista sempre occupata con persone dalle facce orientali, ricavandone la sensazione che parlassero di affari. L’ho quindi lasciata lavorare in pace nel suo vestito impeccabile e nelle sue deliziose scarpette décolleté rosse. Vista da fuori è bella l’immagine di questi giovani trentini eleganti e raffinati, che non si riconoscono più per il pur nobile viso da contadini ma si presentano con l’eleganza ed i modi raffinati di chi deve e vuole affrontare la competizione mondiale. Naturalmente mi ha fatto piacere che lavorasse tanto, io potrò sempre andare a parlare di vini in cantina.
Una parola per la cantina veneta Zymè, la cui giovane figlia del proprietario mi ha rivelato di aver ospitato una classe di studenti dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige mostrando cantina e lavorazioni. Lei stessa è stata una una studentessa dell’Istituto: è evidente che gli insegnamenti servono, il vino che propongono è veramente di un livello altissimo. Fra i tanti assaggi ricordo l’Oseleta, vitigno storico che divide la critica, mentre il Kairos mi è piaciuto assai: e non solo per il nome greco.
Da Bele Casel, un’istituzione per chi naviga su internet, ho assaggiato i prosecchi: buoni, in particolare il Colfondo, ma che dire di quelli biologici ed affinati in anfora della Cantina di Albino Armani? E’ interessante questo uomo dagli occhi che guardano lontano e che ti parlano di quanto sforzo e scommessa ci sia dietro la Nera dei Baisi -che meraviglia!!- o il Casetta Foja Tonda, che se non li coltivasse lui insieme a qualche altro “matto” pian piano andrebbero forse ad estinguersi.
Armani propone anche bianchi ragguardevoli compreso il Clè, metodo classico Trento (no Trentodoc, nota bene), ma sta nel padiglione dei Veneti, e mentre io parlavo con lui lì accanto una grande maison del vino mainstream stava facendo una conferenzissima stampissima o un altro interessantissimo eventissimo: ma è solo a me che sono insopportabili quelle presentazioni microfonate di finta allegria e bellone e voglia di esserci per forza?
Con l’andar del tempo il livello di attenzione si è fatalmente allentato, complice il vino –non sempre sta bene sputare– ed il fatto che comunque in mezzo ad un’umanità sfatta gira anche qualche belvedere buono per l’immagine … e l’immaginazione.
Siamo andati a fare una capatina in mezzo ai vini toscani, il Campo alla Sughera (Bolgheri) è sempre per me un incontro da non mancare, e poi, come saltare il mio amato barbaresco dai piemontesi. Alla fine, diciamolo, eravamo cotti, nessun assaggio sarebbe stato ricordato, resta solo il rimpianto di non riuscire mai a vedere tutto o a salutare tutti. Quest’anno niente Alto Adige, niente pugliesi rosati di cui ero proprio curioso, niente Sassella che mi intriga così tanto. Del resto, come diceva Ortega y Gasset “L’uomo si compone di ciò che ha e di ciò che gli manca” e dunque oltre a quello che ho assaggiato e visto torno a casa anche con quello che non ho visto né assaggiato.
Finale: stanco ed un po’ ottuso dal troppo vino mi porto via la sensazione che per chi fa affari il Vinitaly è una cosa, per chi va pure come consumatore interessato e spesso “utilizzatore finale”, è solo un grande spaccato di umanità del meglio e del peggio che si può vedere in un settore commerciale dove c’è tutto: prodotto e chiacchiere, marketing e design, spacconi e bellezze, immagine e politica. A proposito: “la vite è bella” è il nuovo slogan del vino Trentino, campeggiava su tutti i manifesti. Mi sembra un’idea un po’ semplice ma il gioco di parole è stuzzicante: un amico ha commentato “potevo pensarci anch’io ad uno slogan così”. Eh già, ho detto io.
Ci vediamo l’anno prossimo.