zittitutti
Provo a riprendere il filo del discorso lasciato quasi a metà nel post precedente. In questi giorni ho letto con interesse i commenti e le riflessioni affettuose degli amici che mi sono rimasti affezionati.
In particolare, Claudio evoca le atmosfere cogitabonde che circondano i monaci certosini al refettorio, per descrivere il surreale silenzio che in questi mesi è piombato sugli ambienti del vino trentino. L’amico Primo Oratore, segnala lo iato incolmabile fra vino (trentino) e territorio (trentino), come ragione strutturale di questo silenzio. E poi tutti gli altri.
Questa mattina mi sono intrattenuto a conversare con un enologo di lunga esperienza, alle spalle oltre 30 anni di cooperazione. Uno di quelli che ci ricordiamo, negli anni Ottanta e Novanta, in prima fila nella difesa dell’enologia territoriale. Poi anche lui, per sua ammissione, si è stancato. E ha cercato un modo dignitoso per sopravvivere nel magma cooperativo e trentino. Anche lui, questa mattina, mi raccontava del silenzio quasi insopportabile che lo circonda. E lo ha descritto con queste parole: “C’è un’inarrivabile attitudine dei trentini all’uso dell’indifferenza come strumento di potere e di repressione. All’inizio ti danno pacche sulle spalle, tante pacche sulle spalle e ti dicono <<bravo, bravo, avanti così>>. Ma mentre tu vai avanti, immaginando di avere un esercito alle spalle, loro stanno già progettando una manovra di accerchiamento; e quello che, ingenuamente, all’inizio ti appariva come un mare aperto e dai larghi orizzonti, diventa un lago e poi uno stagno e infine una palude. E a quel punto non si muove più nulla. E ti accorgi di essere rimasto solo. Solo insieme al silenzio”.
Questo mi raccontava stamattina l’enologo amico con cui ho bevuto il caffè della prima colazione a proposito del Marzemino e delle attese tradite che su questo vitigno si sono consumate negli ultimi dieci – quindici anni; fino al tradimento dei tradimenti, quello consumato dal management industriale di Ravina su Maso Romani. Nelle intenzioni e nelle dichiarazioni di buona volontà, sarebbe dovuto diventare la casa, la piccola patria, dei Marzemino (Trentino, dei Ziresi e d’Isera). Non è diventato niente. La porta del maso a tutt’oggi resta silenziosamente chiusa. A doppia mandata.
Le cose, pressapoco, credo siano andate più o meno così. Come dice lui.