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di Angelo Rossi – Per l’incontro dell’altro giorno organizzato dall’Unione Diplomati di San Michele presso la Pravis di Lasino qualcuno ha lasciato in fretta la vendemmia appena avviata del base spumante o del Solaris, piuttosto del primo stacco di mele Gala. L’interesse era tutto per conoscere dalla viva voce dell’Assessore all’agricoltura Michele Dallapiccola le novità del P.S.R. 2014-2020, non meno della ripresa di un ragionamento su certi temi caldi che il professor Geremia Gios aveva introdotto a fine luglio parlando allo stesso uditorio dall’alto di una malga nella sua Vallarsa.

Con un escursus storico Dallapiccola ha delineato gli obiettivi del nuovo programma poliennale per migliorare sia la competitività in agricoltura, sia un equilibrato sviluppo delle zone rurali, con una gestione sostenibile delle risorse naturali completate da azioni per il clima. Il tutto riassunto in 6 Priorità articolate in 18 Azioni chiave (Focus area) raggiungibili attraverso 20 Misure. Come ha ricordato ai presenti Alberto Giacomoni della PAT illustrando i dettagli, per saperne di più si consulti il sito: trentinoagricoltura.it .

A me è rimasto un concetto: questo PSR propone un approccio diverso rispetto al passato (quando tante cose si facevano solo perché c’erano i finanziamenti) e che ogni cambiamento comporta resistenze dei potentati, vincibili solo se la politica riuscirà a mantenere la barra a dritta. I dubbi in proposito fanno parte del quadro, come puntualmente emerso da alcune domande dei partecipanti con focus su formazione, ricerca e sperimentazione di quello che è diventato un gigante per l’agricoltura locale, ossia la FEM di San Michele. Sfumato è rimasto il tema (che comincia a bollire) riguardante l’assistenza tecnica in campagna, servizio che l’anno prossimo si dovrà pagare e che qualche Consorzio sta già pensando di gestirsi in proprio.

L’attenzione dei presenti si è fatta acuta quando l’ex allievo Gios, parlando off line a colleghi, ha affrontato un paio di temi sui quali gli era stato chiesto un approfondimento: la sua visione sulla cooperazione trentina e la sottaciuta questione della sanità, salubrità o sostenibilità che dir si voglia del sistema produttivo agricolo locale. Il suo pensiero sul primo aspetto è piuttosto noto, essendo stato oggetto della sua recente e ficcante campagna elettorale per la presidenza della Federazione della cooperazione. Pur sconfitto dai grandi numeri egli è, infatti, riconosciuto vincitore morale avendo sostenuto i valori storici del modello socio-economico che appartengono da un secolo alla gente trentina. Troppo facile quindi, per quell’uditorio, dilungarsi sui comparti vitivinicolo e frutticolo, per cui le scelte della cosca vincente per la cooperazione di consumo e per quella del credito sono parse ancor più sconvolgenti. In definitiva, purtroppo, è che così facendo si taglia fuori o si supera il ruolo primigenio del socio: formalmente è sempre lui che approva, ma in pratica le decisioni sono prese altrove dal management in cambio della garanzia sul reddito. Diabolico. Anche perché, parola di economista, non se ne verrà fuori né a breve, né a medio perché le impostazioni degli oligopoli industrializzati e globalizzati non possono proprio cambiare registro su due piedi, pena un crash totale. E sì che un esempio di come si sarebbe potuto pianificare un’alternativa socio-economica efficace l’abbiamo sulla porta di casa in Alto Adige. Insomma, il latte e le carni sono simil-padane, le mele pompate non sono più quelle di una volta, i vini piatti ancorché corretti non emozionano più. Con una nicchia di irriducibili che perseguono valori “altri” e che guardano al biologico come ad uno spazio vitale per loro stessi e per i loro consumatori. Peccato che nel PSR alle pompose premesse pare non corrispondere un altrettanto risoluto riscontro incentivante. La morale è, come ha rilevato ancora una volta Mario Pojer, che il valore dei terreni è andato riducendosi con tendenza inarrestabile, mentre altrove è cresciuto.

Non basta, perché al peggio non c’è fine: parlando di sostenibilità, Gios ha sciorinato dati tremendi di tre ordini: quelli veri già verificati dalla scienza, quelli verosimili in corso di verifica e quelli probabili tutti ancora da verificare. Il Trentino è in cima alla lista dei posti a rischio malattie sia per gli addetti che per gli abitanti per il semplice motivo che i ca. 30 mila ettari coltivati intensamente a vite e melo abbracciano in un continuum i centri abitati come in nessun’altra parte del mondo. Alte percentuali di cancro, Alzheimer, autismo, fertilità maschile sono solo alcune delle malattie correlate che insistono su un territorio peraltro vissuto come un giardino dell’Eden. Dati che lasciano di stucco, tanto sono sconvolgenti, ma ben noti a quanti nel recente passato hanno dovuto registrare lutti in famiglia. Ciò che ancora non è emerso a sufficienza sono il ruolo e gli effetti della chimica nel medio-lungo periodo di incubazione delle molecole scatenanti i guai. In definitiva, assumerne consapevolezza è il primo passo per invertire realtà e tendenze. Come dire: se si decide oggi di cambiare modello, fra una generazione avremo forse risolto. Se no, il nostro conto in banca lo potrebbero godere i sopravvissuti.