giornalismo creativo

Inizia con questo post la collaborazione fra Trentino Wine Blog e un nuovo autore: Ghino di Tappo.  Reinterpretazione enoica dello spietato brigante galantuomo che terrorizzò le terre senesi nel Trecento e che da oggi entra di diritto a far parte della confraternita dei Cosimi.

Gli auguriamo di divertirsi. E di divertirci… spargendo un po’ di sangue. Ma non troppo.

 

di Ghino di Tappo – Ho letto questo pezzo, pubblicato oggi sul quotidiano Trentino, attirato dal titolo. E poi lo ho riletto di nuovo perché credevo di aver inteso male. M’ha preso un senso di nausea. Passi per lo sforzo del giornale di raccontare in qualche modo i fasti di una manifestazione che probabilmente non ha dato grandi spunti, passi anche per l’impegno del cronista, forse non troppo addentro al tema affidatogli per cui ha scelto di sentire un sommelier su argomenti più grandi di lui.

Ma non si possono passare sotto silenzio una serie di stranezze, inesattezze e mostruosità sul vino che non si leggerebbero nemmeno in Lapponia, per dire di un posto dove non cresce uva, né si fa uso quotidiano del vino.

Il primo sobbalzo l’ho fatto alla quarta riga dell’incipit: in Trentino si possono avere tutte le qualità di vino possibile, a partire dal passito… Boh. Qualcuno spieghi al sommelier che non è il caso. L’esperto di turno prosegue di slancio con la sentenza sul metodo classico: è possibile solo dove le condizioni lo permettono… . Riboh! Qualcuno gli spieghi che quelle condizioni sussistono ovunque e se intendeva l’uva invece della rifermentazione in bottiglia sappia che si fa champenoise anche con Cabernet Sauvignon.

Non contento, ne spara un’altra sul moscato di Besenello, sbagliando mira e ignorando che i quattro che hanno in mano quelle uve le stanno valorizzando come Moscato di Beseno; per giungere ai bordolesi come il San Leonardo … di cui se ne parla poco: qualcuno lo informi che è il rosso trentino più famoso d’Italia e uno dei rossi italiani più famosi al mondo: ma forse intendeva che i bordolesi sono in sonno. Speriamo.

La seconda colonna comincia con l’invito a pasteggiare a spumante, se si comincia non si smette più: ludopatia? I prosecchisti ringraziano comunque commossi.

Segue un volo sul biologico che si imporrà perché viene dal basso, non imposto dal mercato, ma che si imporrà autonomamente. Ma quanto potere ha quest’autonomia? Il creativo sommelier, poi, sembra persino arrabbiarsi nel vedere i vini trentini in vendita a poco più di due euro: ma capisce che è per far quadrare i bilanci. Boh di nuovo. Saranno quelli dei consumatori?

La prosa diventa lirica in terza colonna quando il nostro rilancia sul miracoloso metodo di lavorazione che da un’uva nera fa scaturire nientemeno che il Pinot grigio! E ci trova pure il sapore della fragola di bosco… dopo lunga macerazione per ottenere un prodotto che è sostanzialmente bianco. Arieariboh! Mentre il giornalista chiosa che ce n’è davvero per tutti i gusti, l’apoteosi lirica è fiscale, nel vero senso della parola: all’ipotesi di un’accisa sul vino ribatte, infatti, che sarebbe meglio togliere quella sulle birre artigianali e sulle grappe perché il prezzo alto non limita gli abusi, ma penalizza i gourmet che non sono soggetti da controllare. Meno male, la nausea stava per sopraffarmi.

Ma mi domando: dov’era nell’ultimo giorno del Festival l’esercito dei/delle P.R. alla corte e al soldo della Strada del Vino e dei Sapori e di Consorzio Vini del Trentino?

E i miei amici enologi, quando la smetteranno di tenere il naso nel bicchiere per mettersi loro in piazza a raccontare alla gente il perché e il percome del vino?