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Interessante l’articolo uscito ieri su L’Adige e dedicato alla produzione provinciale di Novello. Interessante per noi perché ci consente di fare un quadro riassuntivo piuttosto preciso della tipologia, almeno dal punto di vista dei volumi. Poco meno di mezzo milione le bottiglie prodotte in Trentino, e quasi esclusivamente da uve Teroldego, con qualche inserto di Schiava. Ci crede di più Cavit che ne produce circa 340 mila pezzi. Cinquanta mila bottiglie sono di Mezzacorona e quasi altrettante di Concilio. Il resto della produzione è frammentato fra una decina fra vigneron e sociali di primo grado, da Roberto Zeni a Marco Donati alle cantine Rotaliana e Aldeno. E poco altro.
Insomma, quello del Novello, in Trentino è un fenomeno poco significativo, più legato ad esigenze di cassa immediata che altro. Vale meno dello 0,5 % dell’imbottigliato in provincia da uve locali. Si scende vertiginosamente se si tiene conto dell’imbottigliato totale. Anche rispetto alla produzione delle altre regione italiane, il Novello Trentino, resta indietro: avanti sono sempre Veneto e Toscana, con i loro Merlot e Sangiovese. Che insieme fanno circa la metà della produzione italiana, che, almeno nel 2010, si attestava  attorno ai 9 milioni di pezzi. In Francia si superano i 60 milioni. Anche se la comparazione è spericolata, perché si ferma alla sola metodologia impiegata. Per il resto siamo su altri pianeti: sia dal punto di vista varietale, che della riconoscibilità territoriale, che del rigore disciplinare. Che, come avviene spesso nel nostro Paese, fa acqua da tutte le parti.
I livelli di prezzo, al contrario, sembrano tenere: si va da circa 4 euro ad una decina di euro, per le bottiglie più raffinate. Prezzi ai quali si possono acquistare ottimi e ottimissimi, almeno per gli amanti del metodo carbonico, Beaujolais Noveaux.
E qui potremmo aprire una discussione, lunga come una notte lunghissima. Tempo fa l’amico Massarello mi raccontava di quando il Trentino si innamorò di questa metodologia, appena introdotta, legislativamente, in Italia. Mi raccontava dei viaggi degli enologi trentini in terra di Beaujolais, degli studi, delle ricerche di mercato. Di quel grande sogno, che oggi, a guardare i numeri, mi pare piuttosto malconcio. Ricordo che mi disse testualmente: “Ad un certo punto, i francesi si stavano impensierendo per quello che stavamo facendo noi in Italia e soprattutto in Trentino”. Ricordo che lo guardai, un po’ perplesso e un po’ sardonico. E gli dissi: “Massarello, ma vai in mona, vai”.