vervè Rovere della Luna
Vervè Brut Rovere della Luna

E se avessero ragione loro? Loro quelli di Roverè della Luna dico. Ragione nel proporre un Metodo Classico easy e sbarazzino come il loro Vervè Brut Millesimato 2012 (40% Pinot Bianco, 40% Chardonnay 20% Pinot Nero)? Lo dico perché me lo sono chiesto tante volte, anche in passato. In fondo, quando pensiamo ad un TRENTO, abbiamo sempre come faro, come riferimento il GIULIO (FERRARI). Quindi una grande riserva, un vino monumentale, ricco e strutturato, dalle mille sfumature. E, bene o male, quando degustiamo un TRENTO, consapevolmente o inconsapevolmente, il pensiero, l’ipotetico punteggio 100/100, il riferimento, è sempre quello: la bottiglia più importante di Casa Lunelli.

Ma sarà corretto questo approccio? E poi sarà vero che chi lo beve, il TRENTO, pensa come noi, che bene o male ce ne occupiamo non solo per farci una sana bevuta? E siamo un poco vittime di quel complesso di perfezionismo, che come mi disse una volta un enologo trentino, è stato indotto dall’Istituto di San Michele; lo stesso complesso che ci fa quasi vergognare dei nostri Charmat o dei nostri M.C. più sbarazzini. Perché noi siamo trentini e in quanto tali comandati per legge divina alla perfezione.

Non è che invece anche per il TRENTO ci sono tanti mercati, tanti segmenti di gusto (e di portafogli), che a volte, le nostre scelte degustative tendono a sottovalutare? Non voglio assumere a paradigma improprie assonaze con la leggerezza del Prosecco Style, ma siamo sicuri che non sia anche un TRENTO Style, che si discosta dalle tipologie monumentali o da quelle molto verticali e molto secche, che siamo abituati, come per riflesso condizionato, a porre al vertice delle nostre preferenze?

La scelta della Cantina di Roverè, mi pare vada in questa direzione. Anche nel prezzo: sullo shop on line questa bottiglia viene venduta a 8,90 euro. Potrei anche sbagliare, ma al netto di offerte sotto costo, di svendite natalizie e di private label GDO e al netto della nota referenza base di una notissima maison cooperativa, mi pare uno dei prezzi più bassi a cui ho visto vendere una bottiglia di TRENTO.

Un prezzo MOLTO in campana, che racconta di una bottiglia adatta a chi non si vuole impegnare, e sbracare, più di tanto. Una scelta da aperitivo pomeridiano o da due tre quattro bicchieri con amici al bar senza dover fare un mutuo. Questo mi sembra dire il prezzo. E allo stesso modo il pakaging, così urlato e colorato. Sovvertitore dell’ordine costituito dei format paludati delle grandi e piccole maison, che rincorrono storia e tradizioni famigliari a volte, diciamocelo, perfino fastidiose perché tendono a metterti in soggezione. Robe del tipo:”Io sono io e voi non siete  un cazzo“.

Dunque prezzo abbordabilissimo e packaging ammiccante e sbarazzino. E il vino? Il vino è semplice, nonostante sia qualificato nella categoria di millesimati. Un vino sfumato al naso, con leggeri sentori della classica crosta di pane, ma senza strafare, e qualche fiore bianco, come il gelsomino, qualche accenno di miele in fondo. Tuttavia non rinuncia all’eleganza. In bocca è altrettanto sfumato, scappa via, non si ferma, non si trattiene (come dire che ti tocca berne un altro che tanto non succede niente).  E’ un vino giocoso, nel senso che gioca e fa giocare fra i bicchieri. Senza troppo fasciarsi la testa. E soprattutto  senza menarsela troppo. Packaging, vino e prezzo: tutto mi pare in linea e coerente. E se il tutto ci suggerisce qualche atmosfera prosecchista, pazienza non c’è niente di male. E va bene accussì.

E non è escluso che questa, anche questa, possa essere la strada per la popolarizzazione e la proletarizzazione (un mio vecchio cruccio) del TRENTO. Cosa che aiuterebbe, e non poco, la Denominazione, oggi ancora prigioniera di una visione eslcusivistica ed escludente e per questo inesorabilmente minoritaria, a penetrare un  mercato che, numeri alla mano, fa fatica a lasciarsi penetrare.