doc pinot grigio

In tanti, in queste ore, mi stanno chiedendo se la nascita di quella che ormai da tutti è chiamata la Super Doc del Pinot Grigio (delle Venezie), sia o non sia una buona notizia.
Non so se sono la persona giusta per rispondere a questa domanda. Però provo ad abbozzare una breve analisi. Intanto di cosa stiamo parlando: 20 mila ettari di vigneto (resa 180 q/ha), distribuito per metà in Veneto, e il resto fra Trentino (3 mila ettari) e Friuli Venezia Giulia (7 mila). Un potenziale produttivo, ad occhio e croce, di 300 milioni e rotti di bottiglie e un valore all’origine vicino ai mezzo miliardo di euro.
Il vino, come tutte le cose che affrontano il mercato, è una merce. E’ anche una merce. Inutile nasconderselo: non è solo, e dico anche per fortuna, un oggetto di culto feticistico per salotti più o meno per bene, più o meno esclusivi. Nel 2014 la maggioranza dei consumatori italiani ha acquistato vino in bottiglia ad un prezzo inferiore ai 5 euro (Fonte Nomisma – Wine Monitor). Quindi inutile fingere che il cosiddetto vino merce – uso questa parola per semplificare – non esista. Esiste eccome. E il vino, nel nostro Paese, come negli altri, è soprattutto un prodotto industriale.
La nuova Denominazione del Pinot Grigio – che da domani comincerà l’iter di approvazione presso il Mipaaf – è, mi pare, soprattutto questo: un progetto di ristrutturazione industriale della viticoltura del Nord – Est. Un perfezionamento del marchio del PG soprattutto sul fronte dei mercati esteri. Non nasce un nuovo PG: stiamo parlando di uguali volumi, che tuttavia, fino ad oggi arrivavano alla IGT Venezie per altri canali. Per esempio attraverso il declassamento di ingenti quantità di PG Trentino Doc. In questo senso, la nuova denominazione, mi pare, mette a posto un po’ un di cose e le rende più trasparenti. Anche per i viticoltori trentini, che d’ora in poi saranno consapevoli, speriamo, di produrre uve per la Doc Venezie e non per la Doc Trentino, come capitava fino a ieri. Anzi fino ad oggi.
Detto questo, non penso che la nuova DOC sia una sventura per i territori. Intanto perché questa ristrutturazione garantisce una stabilizzazione, speriamo, delle remunerazioni dei viticoltori. Ma poi anche per un’altra ragione. La nuova DOC, penso, avrà un impatto tranquillizzante e pacificatore su tutta la filiera del vino industriale, anche dal punto di vista psicologico. E questo consentirà, me lo auguro, ai territori, per quel che resta, di muoversi con più autonomia, con più attenzione alla qualità, con più libertà sulle altre denominazioni, finalmente liberate dall’incubo mitologico del Pinot Grigio. A partire dalla Trentino Doc.
Che le cose possano andare per questo verso, me lo suggerisce anche la scelta del presidente dell’Associazione Temporanea dei produttori, caduta su un uomo come Albino (Armani). Lo chiamo per nome, perché, inutile nasconderlo, ci lega un rapporto di amicizia e di stima, credo, reciproca. Sono quasi certo che Albino si muoverà fra i territori con delicatezza, con equilibrio, lontano dalle tentazioni violente che potrebbero essere di altri (anche trentini) ed estraneo alla fascinazione dell’egemonia. Lo scrivo, perché questa è la sua storia personale e imprenditoriale; perché lo ho visto muoversi così in Valdadige, in Terra dei Forti, in Valpolicella. Nel trevisano e nella Grave friulana. Se sarà coerente con questa sua storia, credo che i territori e i territorialisti come me, non avranno nulla da temere da Albino. Che, mi auguro, possa anche diventare il primo presidente, al termine della procedura di riconoscimento del disciplinare, del Consorzio di Tutela della nuova Doc delle Venezie..