VINTAGE CAVIT

(continua) – Senza una componente importante del territorio trentino come quella dei Vignaioli la Mostra sarebbe zoppa. Imperativo categorico, quindi, è rimuovere le motivazioni della loro latitanza rispondendo ad alcune loro recriminazioni, considerando che, a ben vedere, sono le stesse per le quali dovrebbero recriminare i vignaioli associati. Da più parti ormai si mette in discussione l’impostazione stessa che il settore si è dato negli ultimi 15 anni in mancanza di direttive provinciali. Non possiamo dimenticare, infatti, che la PAT è venuta meno ai suoi compiti statutari di indirizzo, coordinamento e controllo, lasciando fare agli oligopoli in nome e per conto di tutti, con i risultati chiari e scuri che conosciamo. Zone d’ombra o buio pesto sicuramente nella pubbli-promozione se è vero che si riesce a fatica a radunare i produttori in un Vinitaly e a Trento ne mancano la metà. Quando con un po’ di buona volontà la Mostra avrebbe ancora qualcosa di importante da dire, al di là degli assaggi professionali, come tavolo attorno al quale dibattere sugli scenari del settore, per definirne la missione o la visione che dir si voglia. Mi sembrerebbe opportuno cogliere tempestivamente ciò che di nuovo e di buono ci riserva questa stagione.

Rispetto all’immobilismo del recente passato c’è la nuova DOC PG delle Venezie che a ben guardare disegna di fatto due enologie: quella industriale che riguarda un terzo della produzione locale destinata a soddisfare la sete del mercato globale e quella territoriale che mantiene una buona potenzialità su un mercato più ristretto, diciamo quello del bacino dell’utenza turistica e non solo. Il management industriale ha dimostrato di saperci fare anche in questi anni di crisi, necessariamente trascurando le politiche di territorio. Personalmente credo sia stata una fortuna, non avendo mai amato il Kolchoz come modello economico, anche se c’è il rischio di vederselo riproposto subdolamente in salsa trentina. A forza di voler assicurare il reddito ai viticoltori, infatti, si svuotano le menti da pensieri e responsabilità. Inconsapevolmente si accetta l’assunto che l’industria enologica possa e debba farsi carico anche della politica di territorio, fin anche l’assistenza tecnica in vigna, dimenticando che lo scopo di un’industria è altro e che il territorio è un vincolo insopportabile. Questa delega, in visione prospettica, va ad un Consorzio vero.

Per intenderci: una volta c’erano Cavit come emanazione del Consorzio delle Cantine Sociali del Trentino (con funzione di imbottigliamento e commercializzazione) e c’era il Comitato Vitivinicolo interprofessionale e paritetico (con funzione di tutela e valorizzazione); oggi Cavit è un’industria efficiente che, soffocato il Consorzio-madre, ne ha assunto le funzioni per garantirsi l’aura cooperativa , mentre il Consorzio Vini del Trentino, pur formalmente interprofessionale, non è più paritetico fra le sue componenti: per questo motivo, sul fronte della tutela non può che ratificare gli aumenti delle rese unitarie imposti dagli oligopoli piuttosto che la DOC PG delle Venezie, mentre sul fronte della valorizzazione non riesce a proporre una Mostra Vini degna di tal nome. Dibattere di questo, giustificherebbe ogni Mostra, evitando l’ennesimo papocchio. Mostra-dibattito, quindi, in attesa di una rinnovata Mostra-assaggio.