Non ce la facciamo proprio eh, a fare qualcosa per gli altri senza metterci di mezzo il mangiare, il bere e la festa. Penso alla gara disolidarietà che, a poche ore dal sisma, si è scatenata per raccogliere fondi per Amatrice a suon di pastasciutta.

Siccome non ce la facciamo a fare le cose gratis, abbiamo dovuto inventarci un’amatriciana caritatevole: un euro lo metti tu e uno lo mettiamo noi (noi, i ristoranti).

Siamo alla frutta, altro che amatriciana.

La cosa è ancor più urticante pensando a quei ristoranti che l’amatriciana te la fanno pagare 20 euro.

E allora qualcosa non mi torna: di fronte alla tragedia, prendere in mano una forchetta è qualcosa che va oltre il cattivo gusto. Di quel cattivo gusto di cui si veste spesso la beneficenza accoppiata alle cene di gala, dove un vestito indossato dalla bellona di turno vale più di quello che sarà raccolto. Questa non si chiama solidarietà, si chiama cipria. Della coscienza.