#MORIREMOTUTTISPUMANTISTI, è l’hashtag usato ogni tanto dal mio amico sommelier Andrea Aldrighetti. E in effetti, a dare ascolto alle guide enoiche in uscita in queste settimane – con la sola lodevole eccezione di quella firmata da Slow Wine -, pare che in Trentino le bottiglie di metodo classico crescano spontaneamente sugli alberi, come gli zecchini nella favola di Collodi.

Dal Gambero – sette m.c. su dieci – passando per la guida dell’Espresso, fino ad arrivare ai Top Hundred del Golosario di Paolo Massobrio – tre m.c. su tre: MATTIA FILIPPI Cuvée Millesimato Metodo Classico “Augusto Primo” 2012, MARCO TONINI Trento Doc Metodo Classico Brut Nature, ARMANDO SIMONCELLI Trento Doc Brut – il Trentino sembra solo un grande e infinito spumantificio.  Ma tutto il resto dell’uva e del vino che fine fa?

Perché, tanto per mettere i puntini sulle i, bisogna pur dire che la produzione spumantistica, che da 20 anni gravita fra i sette e gli otto milioni di sboccature, rappresenta meno del dieci per cento, sia in valore che in volumi, del panorama enologico trentino. E il resto, le varietà distintive, gli autoctoni, gli internazionali come il Pinot Grigio, dove sono, che fine fanno? Possibile che agli occhi dei raffinati degustatori il Trentino si esaurisca esclusivamente nella produzione, numericamente poco significativa, di metodo classico? Prendo ad esempio una piccola denominazione, il Terradeiforti (Enatio e Casetta). In Veneto quest’anno, il Foja Tonda Albino Armani 2012 (Casetta) è finito fra le referenze segnalate al massimo livello da Vitae, la  guida Ais. Trentino Terradeiforti, invece, come sempre non pervenuto.

Mi chiedo cosa passi nella testa di questi guidaioli e che idea sballata si possano fare di noi le centinaia di migliaia di wine lover che ai loro suggerimenti si affidano ciecamente. Perché, questo Trentino con le bottiglie di Metodo Classico appese agli alberi non esiste. Ma forse, al contrario, c’è in circolazione qualche Pinocchio. E anche qualche Gatto e la Volpe. Che, insieme, hanno deciso di raccontare la favola dell’isola che non c’è.