Il vino non è più affare del popolo e non è neanche un affare democratico. Leggevo proprio poco fa il post di Cosimo, in cui descrive in modo sapiente la degustazione di un Rotaliano: sentori di cenere e cuoio, scrive. Rimango sempre affascinata da queste descrizioni, forse perché io non sono riuscita mai a riconoscere queste note così sofisticate in un sorso di vino.
selezione_059Forse perché sono cresciuta, fin da piccola, in un mondo contadino, quello dei miei nonni, in cui il vino era un’esperienza domestica; essenziale quanto semplice. Quando arrivava qualcuno a trovarci nonno Romolo scendeva in cantina a riempire una bocaletta di vino dalla botte; era un onore da riservare all’ospite. Una cosa che non poteva mancare per accoglierlo come si doveva. Mio nonno probabilmente non era in grado di riconoscere il sentore di polvere e cuoio, anche perché quello della sua botte era un vinello di paese, schietto e semplice. Senza pretese. Non voglio dire che il modo in cui oggi si degusta il vino sia migliore o peggiore, ma certamente è diverso; più legato al piacere del gusto, alle raffinatezze degustative, a volte portate anche all’eccesso, che alla sua funzione di socialità e ospitalità domestica.
E mi domando: possibile che senza riconoscere un sentore di liquirizia o di frutta secca non si possa sorseggiare ugualmente con piacere un bel bicchiere di vino? Io credo di sì. Altrimenti significa che abbiamo trasformato il vino in qualcosa per pochi. Per gli esteti, per gli esperti, tradendo quella che è la sua connotazione primordiale, quella di accompagnare il pasto, il dialogo, la festa.
E scusate se è poco.