Analisi sensoriale, ovvero “raccontare il vino”. Si passa dal “bere” al “degustare”, cioè utilizzare i propri sensi, la propria cultura, la propria capacità di giudizio per valutare la qualità di un prodotto: in questo caso di vini (ma anche liquori e birre).
In queste lezioni si impara anche un linguaggio. Per esempio, se un vino è “sottile”, non si intende che è stato imbottigliato in una bottiglia lunga e stretta.
Per ricapitolare, un metodo standard, un linguaggio comune, un po’ di pulizia mentale; anche il modo di descrivere il vino è più o meno uniforme: odori, sentori e profumi sono codificati. Da evitare espressioni strampalate, da primadonna: “sentori di coda di volpe bagnata”, aveva scritto un critico riguardo a un vino. Dove avesse sentito l’odore di coda di volpe bagnata, non era chiaro a nessuno. Inoltre, ho chiesto a quale delle due estremità della coda si riferisse, ma non me l’hanno saputo dire: eppure, secondo me era importante.
Comunque, qualche sentore curioso è ancora presente tra quelli catalogati, ad esempio l’odore di cuoio o di pietra focaia. Ognuno di questi odori in realtà è associato a una sostanza chimica: siccome ricordare “fieno tagliato” è più facile che ricordare “paratolilmetilchetone”, si usa il “fieno tagliato”.
Sui tavoli troviamo dei bicchierini con dei liquidi, per la maggior parte trasparenti. Li assaggiamo: in uno c’è un po’ di glicerina aggiunta all’acqua, in un altro zucchero, nell’altro alcool, poi sale, acido, tannino. Servono per farci riconoscere le componenti principali del gusto dei vini.
A tenerci questa lezione è il delegato di FISAR Milano, Gianni Longoni. Dopo gli assaggi nei bicchierini ci illustra le varie fasi dell’analisi sensoriale: la prima è quella visiva.
Si valutano limpidezza e trasparenza del vino, poi il colore: la sua tonalità e la sua intensità. Infine, la fluidità e (se c’è) l’effervescenza. Tutti questi elementi ci danno indicazioni su quello che potremo trovare quando berremo il vino.
Per inciso, non ho la minima intenzione di riportare in dettaglio tutte le dimensioni della degustazione. Primo, perché c’è dell’ottimo materiale su Internet, a partire da quello che si trova a questo indirizzo: http://www.fisar.org/area-didattica/la-degustazione/. Secondo, perché nessun materiale che trovate su Internet può sostituire l’esperienza diretta.
Già le prime valutazioni saranno l’occasione per confronti serrati, ad esempio sul colore: è giallo paglierino o giallo dorato? È intenso o chiaro? E siamo solo all’esame visivo.
Si passa all’esame olfattivo. Comincia una delle parti più difficili, soprattutto per chi è alle prime armi: riconoscere i profumi. “Cominciate ad annusare” ci dice Gianni. È un senso che abbiamo un pochino perduto.
I sommelier distribuiscono sette bicchierini, coperti da un foglio di alluminio. Il gioco consiste nel praticare un foro con una penna sul foglio di alluminio e indovinare che cosa è contenuto nel bicchierino, solo dall’odore. Si gioca a squadre. In un bicchierino, poi si scoprirà, sono contenuti pezzi di un frutto, in un altro origano, in uno timo, in un altro ancora del tabacco che però proviene da un sigaro vanigliato e quindi ci crea qualche dubbio. Riusciamo a indovinare quasi tutto; ci va male con il settimo bicchierino, in cui sono mescolati più aromi. Qualcuno, però, nei banchi dietro, annaspa: “Io non sento niente”.
Poi, l’esame gustativo. Si tratta soprattutto di valutare l’equilibrio di un vino: e l’equilibrio è la somma algebrica tra le componenti “morbide” e le componenti “dure”, che si devono bilanciare. Le prime sono l’alcol, la sensazione di morbidezza (data dalla glicerina), la dolcezza; le seconde l’acidità, la tannicità, la sapidità.
Per l’assaggio, abbiamo da assaggiare due vini: il primo è un Cannonau. Il secondo, mascherato, è un vino frizzante bianco un po’ dolce. Non è del tutto spiacevole, anche se non certo il meglio che abbia mai assaggiato.
Tolta la maschera, si scopre che non è neanche vino: è una bevanda a base di vino con l’aggiunta di succo di frutta (di maracuja). Ne vendono un sacco, nelle discoteche e nei locali notturni; e non è nemmeno tanto a buon mercato.
Tornando a casa, rifletto sul fatto che questa seconda bottiglia, pur rimanendo per molti versi qualche cosa di molto simile a una solenne porcheria, comunque ha un suo spazio, una sua modalità di consumo, una nicchia in cui trova una sua collocazione e tutto sommato una sua dignità. Non l’avrei mai pensato. Questo corso sembra destinato ad aprirmi orizzonti inattesi.