Sabato pomeriggio, a Mezzocorona, è accaduto qualcosa su cui non riesco ancora a farmi un’idea precisa. Fabio Rizzoli, il manager che sognò e realizzò il sogno di un grande gruppo cooperativo rotaliano ma ormai fuori dalla stanza dei bottoni da quattro anni, ha provato, senza riuscirci, a scompaginare gli equilibri del consiglio di amministrazione della cantinona rotaliana. Una candidatura, la sua, agita, come si deduce anche dalla foto, contro le indicazioni dell’establishment, guidato dall’uomo che lui stesso aveva scelto come suo successore alla guida politica della coop: Luca Rigotti. E al quale era sempre sembrato essere legato da un affetto quasi paterno.

L’uomo che per quarant’anni era stato il padrone della rotaliana e una delle personalità più influenti nel panorama del vino italiano, l’uomo che nel bene e nel male deve essere considerato l’artefice del sogno mezzacoronaro, il manager che ha riepito di soldi le tasche dei contadini della Piana e della Valdadige, sabato è diventato un uomo contro. Contro il gruppo dirigente che lui stesso aveva contribuito a formare, contro il potere costituito, contro il mito dell’unità e dell’unitarismo, che per decennii erano stati la sua parola d’ordine, ripetuta come un mantra psichedelico che funzionava a meraviglia.

Affiancato da una cordata di viticoltori cembrani e da alcuni soci influenti, almeno sulla carta, sabato Fabio Rizzoli è riuscito a raccolgiere attorno al suo nome un centinaio di voti. Troppo pochi per entrare nel consiglio di amministrazione della “sua” cantina, ma sufficienti per lanciare un messaggio. Fortissimo. E forse destabilizzante. Quale sia questo messaggio, per ora, non lo ho capito. Perchè, conoscendo la storia e la stoffa dell’uomo, mi rifiuto di pensare che si tratti dell’ultimo ruggito di un vecchio leone al tramonto. E altro, in questo momento, però non riesco ad immaginare.

Tuttavia sono convinto che quanto è accaduto sabato pomeriggio a Mezzocorona sia un fatto positivo. Perché ha introdotto il germe, o il seme, del confronto fra visioni differenti, fra modelli di sviluppo differenti, in una compagine sociale tradizionalmente molto coesa e monocorde. Raramente affascinata dal valore costruttivo del dibattito, sempre ammutolito e sacrificato alla mitologia dorata e assonnante del mantra unitaristico rizzoliano. Oggi, anzi sabato, qualcosa è cambiato. E in meglio. Forse.