Prima di leggere i resoconti stampa e lungi dal voler influenzare chicchessia, vorrei fissare alcune impressioni personali sul dibattito sulla cooperazione trentina di ieri sera.
Comincio con l’idea, quella di affrontare un tema che riguarda direttamente oltre la metà della popolazione trentina e che la influenza per intero. Plauso al quotidiano L’Adige e al suo direttore. Conseguentemente la sede giusta avrebbe dovuto essere un mega stadio o almeno un auditorium o la sala della cooperazione, invece è bastata parte della sala da pranzo del GH Trento, peraltro nemmeno zeppa. Tanti capelli grigi, molti over 60, troppo pochi i giovani e le donne. Prevalenza di esponenti delle casse rurali, cooperazione di consumo e sociali. Pochi i frutti-vinicoli e quattro gatti politici, nemmeno i più in vista.
Dico subito che in complesso sono stato abbastanza deluso. Il tema era vasto, ok, ma per me il nocciolo della questione non si è approfondito e da qui la mia mezza delusione. E sì che Fezzi, presidente Federcoop con onestà intellettuale, lo spunto dirompente lo avrebbe dato subito affermando che è ora di rottamare don Guetti e la prosopopea che lo circonda. I tempi non sono più quelli, ha detto. Come dire che nemmeno la cooperazione non può più essere quella di allora. Buttando con l’acqua anche il bambino, ossia buttando anche i valori fondanti. E se questo non fosse, dico io, per coerenza si sarebbe dovuto dire che capitale e redditività la debbono fare da padrone anche in cooperazione, orientando la formazione alla mentalità capitalistica invece di continuare con don Guetti. Si è lamentata invece la mancanza di rinnovo dei dirigenti, senza uno straccio di proposta operativa.
Fezzi non mi è parso avere i numeri o almeno lo spunto per il colpo d’ala necessario; del resto è circondato da una maggioranza restia a mettersi in discussione e ancora propensa a difendere la seggiola. Come il controllo sulle cooperative ancorato alla Federazione per legge regionale. Ma si è sentito anche dire da Andreaus (docente di economia aziendale all’UNITN) che in assoluto la Federazione non è indispensabile, come succede in Alto Adige e altrove in Italia, e che certi servizi potrebbero essere assicurati diversamente. Da qui l’annuncio di Fezzi che verosimilmente si andrà ad una riduzione del personale (una cinquantina in meno) e in caccia di servizi ulteriori. Un tema questo, che per la mia forma mentis, vedrei di competenza del DG, vacante da un anno e questo la dice lunga. Lo stesso coordinatore Giovanetti ha adombrato l’idea di commissionarlo in Val Gardena, mentre penso che sarebbe sufficiente cercarlo fra i tanti nostri laureati a sociologia, ma tant’è.
Si è parlato anche delle cooperative di secondo livello, cioè dei consorzi, per forza di cose lontani dal socio, e qui non serve affannarsi contro la fisica o anche solo contro la geometria: più in su vai, più ti allontani dalla base. Senza dire che anche i secondi gradi cambiano a seconda del comparto, alcuni vanno meglio come Melinda che lavora mele del territorio, altri come Cavit per andare bene debbono rifornirsi da fuori, altri ancora stanno scegliendo la strada come nel credito e nel consumo. Ma dopo l’analisi sono mancate le ricette, peccato perché si è schivato il nocciolo della questione.
Mi aspettavo qualcosa di più anche dal professor Andreaus che pure ha stigmatizzato il nuovo centro produttivo dei piccoli frutti di Sant’Orsola a Pergine, sostenendo che lì, come in generale in cooperazione, si continui a puntare ancora sulla quantità invece che sulla qualità. Vero solo in parte perché un tema così non si può liquidare con una battuta. Pronta comunque la reazione autocelebratoria di Rizzoli, primo ad intervenire nel dibattito conclusivo, critico con una stampa colpevole di non informarsi a dovere e tranquillizzante sulla merce della Polonia. Osservo solo che pochi km più avanti, a Novaledo c’è chi di piccoli frutti ne compra da tutto il mondo e in tutto il mondo vende.
Con l’ufficio stampa della Federazione se l’è presa anche Sergio Ferrari chiosando fra comunicati stampa, comunicazione autoreferenziale e opportunità di critica che (a cominciare da lui) lì è stata sistematicamente negata, mentre il tono degli interventi si è alzato improvvisamente verso la fine con l’intervento di Marina Mattarei che con i giossiani è da tempo impegnata per un rinnovamento del sistema. Mi spiace non aver appuntato le sue parole, ma ha messo il dito sulla mancanza di pensiero, di un pensiero alto e che da lì si dovrebbe ripartire. Ecco, se il confronto fra due del format de L’Adige avesse previsto un ménage à trois, l’esito dell’incontro mi avrebbe certamente soddisfatto di più.