La buona novella è comparsa ieri sulle pagine dell’Economia del quotidiano L’Adige. Il presidente – manager di Istituto Trento Doc, Enrico Zanoni, conferma il trend di crescita della denominazione (in realtà limitatamente al club Trentodoc, ma le cose cambiano di poco), sia in valore (con percentuale a due cifre) sia in volumi (oltre il 4,5 %). I numeri sono ancora provvisori, in attesa di tutte le autocertificazioni delle 45 maison che aderiscono all’Istituto, ma dovrebbero comunque avvicinarsi al numero definitivo. Quindi, se, come pare, il trend sarà confermato, la barca va. E pure a gonfie vele.  Anche se rispetto al competitor naturale, Franciacorta, la TRENTO si colloca purtroppo ancora a metà strada.

L’ altra notizia, che si apprende dalla cronaca di Francesco Terreri sull’Adige di ieri, invece riguarda le modifiche alla carta fondamentale che regge l’Istituto. Intanto si annuncia l’orizzonte dell’Ente riconosciuto; non si capisce bene se l’ambizione sia quella di diventare un vero e proprio consorzio che tuteli la denominazione, il che implicherebbe la separazione definitiva da CVT – Consorzio Vini del Trentino, o qualcosa  d’altro. E magari nei prossimi giorni cercheremo di capire meglio cosa stia danzando felicemente nella testa del presidente Zanoni. Ma di sicuro questo è un passo avanti, rispetto all’attuale forma associativa. Poi, però, c’è dell’altro: le modifiche statutarie varate dall’assemblea dell’altro giorno minato alla radice l’attuale forma rappresentativa paritetica, una testa un voto, e introducono, seppure ancora in forma embrionale, il principio della rappresentanza commisurata al peso partecipativo sul piano finanziario dei soci: 4 su 9 membri del futuro CdA saranno riservati alle maison che sboccano e sborsano di più (non c’è bisogno  di fare nomi) gli altri cinque saranno invece eletti dall’assemblea (controllata al 30% dal monolite cooperativo),  con il meccanismo del voto capitario. Si introduce, quindi, anche in Trento Doc il principio di una grammatica consortile che sta mostrando tutti i suoi limiti in  Trentino come nel resto del Paese: chi ci mette più soldi, comanda di più. Ma non sempre questo meccanismo societario funziona efficacemente per tutelare gli interessi di un sistema territoriale: le vicende di questi giorni, e degli ultimi tre lustri, di  CVT lo dimostrano. E lo denunciano. Perché un ente che tutela e promuove una denominazione, non è un soggetto commerciale o produttivo, è un luogo dove si elaborano idee e strategie promozionali per il futuro di un territorio e delle sue denominazioni, non di un singolo produttore. E le idee e le visioni, non sono migliori o peggiori, a seconda del turgore del portafogli di chi se ne fa portavoce. Ma così, va il mondo. Anche a Trento.