Questo vino mi diverte perché non dimostra i suoi 75 mesi passati sui lieviti…

È una serata leggera, attorno a un vino che diverte, praticamente una serata tra amici (erano pochi i posti disponibili), con Lorena Lancia che illustra, racconta, discute, analizza tre vini trentini accompagnati da salumi, formaggi e dolci della Val di Non.

Lorena Lancia è il miglior sommelier FISAR del 2016. Anche lei mi diverte perché, come per il vino che ha passato tutti quei mesi sui lieviti, questo suo titolo le scivola addosso leggero; lei non lo fa pesare, racconta i vini con la sua voce soffice, con un suo modo pacato e contemporaneamente appassionato.

Siamo all’evento “Degusta con Lorena”, organizzato da FISAR Milano nella propria sede, in collaborazione con Trentino Wine e SKYWINE.

Il vino che la diverte è Opera Riserva 2008 Brut Nature, uno Chardonnay in purezza, senza fermentazione malolattica, che fa per l’appunto 75 mesi sui lieviti. Opera è una cantina che si è convertita abbastanza di recente al metodo classico: fino a quindici anni fa produceva solo vini fermi.

Il vigneto da cui proviene il vino in degustazione è sul Monte Coronet, nella val di Cembra, a 650 metri s.l.m. Terreno di porfidi, che conferiscono al vino mineralità e sapidità.

Il vino è di grande luminosità, brillante; il perlage è finissimo e molto persistente. Con tutti quei mesi passati sui lieviti ci si potrebbe aspettare un evidente sentore di crosta di pane, fetta biscottata e lieviti.
Invece, il naso evidenzia immediate le note agrumate di cedro e bergamotto, di mela cotogna, tra le quali si fanno largo una delicata nocciola e una dolce nota di vaniglia. Ma eccoli, ci sono anche lieviti a dare complessità alla freschezza di questo bouquet

Al gusto si sente pochissimo il lievito, subito i profumi primari. L’attacco è immediatamente fresco. Proviamo in abbinamento i formaggi del caseificio di Romeno, soprattutto lo splendido Trentingrana 36 mesi del Caseificio Sociale di Romeno in Val di Non, ma l’aroma è tale che sovrasta il vino. Un abbinamento migliore potrebbe essere con un risotto, ragioniamo.

Il Granato 2013 IGT Vigneti delle Dolomiti di Elisabetta Foradori è un vino biodinamico. Le viti sono impiantate su un terreno ciottoli ricoperti da un velo di limo; l’impianto a pergola trentina fa passare aria e luce. La distanza tra i filari è tale che un tempo, in mezzo ad essi, si coltivava il mais. Le viti hanno fino ad ottant’anni di età.

Elisabetta dice che i suoi vini sanno di pietra, perché il terreno è pietra, e frutto, perché lei non aggiunge altro. Neanche i lieviti, che sono naturali e non selezionati.

Il Granato è color rosso porpora, impenetrabile, denso. Aromi di frutta scura (prugna, mora), quasi terra. Note speziate, qualcosa di balsamico; ma sono tutti sentori intrecciati, difficili da separare.

In bocca, grande corpo. Il tannino è delicatissimo, ma si presenta più tardi; anche l’acidità si percepisce dopo. Rimane il sentore di terra.

Ecco una caratteristica che lo accomuna al vino precedente: si sentono tanto la frutta e tanto il terreno.

Anche qui, il Trentingrana sovrasta un pochino il vino. È proprio indomabile questo formaggio. Invece, parere personale, è più morbido l’abbinamento con lo speck della macelleria Endrizzi di Romeno. Apro parentesi: rispetto allo speck che conosciamo meglio, questo sembra più simile a un lonzino affumicato. Molto buono. Buonissima anche la Mortandèla, sempre della macelleria Endrizzi, una specie di polpetta affumicata ma non insaccata: nei tempi andati, si risparmiava anche su quello.

Si chiude con il Vino Santo della Cantina Sociale di Toblino, annata 1994, presidio Slow Food.

Si tratta di un vino passito prodotto da uve Nosiola nella Valle dei Laghi, dove l’Ora del Garda, il vento che si alza ogni pomeriggio dal lago di Garda e risale le valli, prosciuga le uve messe ad appassire sui graticci per tutto l’inverno, fino alla Settimana Santa: da qui il nome di Vino Santo. La muffa nobile (Botrytis Cinerea) penetra all’interno degli acini accelerandone la disidratazione e arricchendo il mosto di aromi.

Ambra e luce nel bicchiere, al naso miele, noci e nocciole, fichi secchi, albicocche secche, balsamico. C’è un’impronta amaricante (miele di castagno, noce, mallo di noce). L’attacco in bocca è quasi cremoso, strutturato, masticabile. Ha una bellissima acidità in bocca e una gradevolissima nota di rabarbaro nel finale. Veramente un grande vino.

L’abbinamento allo strudel fatto con la “pasta matta”, come da antica ricetta della Val di Non, e con le mele Melinda, è spettacolare. Lo strudel è perfetto e fin quando non mi hanno detto che era stato fatto dall’amica Stefania Longhi ho creduto che fosse stato acquistato in una delle più rinomate pasticcerie della zona.

E così chiudiamo; me ne esco per tornare a casa e lancio un’ultima occhiata. Era una gatta con un topolino in bocca, che mi guardava di sottecchi; o era Lorena, con un’ultima fetta di mortandela e uno sguardo birichino e soddisfatto?