Ieri, da ambienti milanesi, ho ricevuto questo messaggio, riferito alla partita Cavit (Terre d’Oltrepò) – La Versa: “In quei giorni ti leggevo ogni giorno sperando tu facessi casino con i trentini. I trentini, non Trentini”.
E’ vero: su questa vicenda non ho fatto casino. Sono rimasto alla finestra a guardare. Probabilmente sbagliando. Anzi, senz’altro sbagliando.
Perché? In queste ore ho ripensato a lungo alle parole dello sconosciuto lettore milanese. E la risposta è stata questa: “Alla fine, dinnanzi ad un’operazione che vedeva il consorzio trentino impegnatissimo ad allungare le mani su un altro territorio (la Provincia Pavese), anche in me è prevalso, intimamente, un senso di identificazione partigiana, che, più o meno consapevolmente, mi ha spinto a tifare  (in silenzio) per la cooperazione trentina e mi ha offuscata la vista”. E così il silenzio si è trasformato in complice collateralismo all’insaziabile vocazione industrialista della cooperazione vinicola di casa nostra. Insomma, alla fine, è emerso il mio amore incondizionato per il Trentino e ho fatto la figura del trentone; che non è un complimento.
Ormai fuori tempo massimo, e riconoscendo apertamente di non aver fatto bene il mio mestiere – che anche in questo caso era quello di fare casino -, non so se interessa ancora a qualcuno sapere come la penso su questa storia.
Comunque provo a farlo. Almeno per mettermi a posto la coscienza.
L’acquisizione di La Versa da parte di Cavit, costituisce, a mio parere, una mossa finalizzata a consolidare l’egemonia del consorzio di Ravina sul mercato delle uve e dello sfuso in Oltrepò. Insomma un consolidamento sul fronte del controllo sulla materia prima, fornita mediamente a bassi costi e destinata prevalentemente al business della commercializzazione oltre oceano (Cavit Collection). Parlo di consolidamento perché la presenza di Cavit, attraverso Cantine Palazzo e l’allegra compagnia di Broni, non è di oggi: da parecchi anni è uno dei pilastri su cui si reggono i successi di bilancio della coop trentina, ottenuti attraverso l’uso di denominazioni extra territoriali (soprattutto Doc Prosecco e IGT Provincia di Pavia). Osservata da questo punto di vista, l’operazione La Versa assume il valore di una calcolo strategico utile, se non fondamentale, sullo scacchiere delle attività commerciali di Cavit. Anche in previsione di un ridimensionamento, a regime della DOC Venezie, del remunerativo giocattolino Pinot Grigio veneto.
Se la guardiamo da un’altra angolatura, quella dell’Oltrepò, temo invece si arrivi a conclusioni diametralmente opposte. La soluzioni Cavit – Broni, infatti, è tutt’altro che una soluzione interna, e quindi territoriale, all’Oltrepò, come la hanno venduta i comunicati stampa e le parole della politica pavese. E’, al contrario, una soluzione esogena: senza il sostegno continuativo del consorzio trentino, Terre d’Oltrepò (Broni) difficilmente appare in grado di muovere qualche passo in autonomia. Del resto lo svela anche la composizione del CdA della nuova La Versa: 2 consiglieri su 5 a Cavit, a fronte di un impegno finanziario del 30 %). Non credo, insomma, che la provincia pavese trarrà vantaggio, vantaggio territoriale, da questa operazione: da Trento continuerà ad arrivare ossigeno, perché a Trento l’ossigeno non manca, ma solo quel tanto che basterà per soddisfare i bisogni di materia prima per le produzioni da destinare oltre oceano. Non è un caso, e lo sottolineava ieri Franco Ziliani su Le Mille Bolle Blog, che non si abbiano notizie di un piano industriale di rilancio della Cantina. Mentre si fanno sempre più chiassose le voci della calata su La Versa dell’efficientissimo management agli ordini del super-mega direttore generale di Cavit Enrico Zanoni.
A guardare bene le cose, se le cose stanno così, in fin dei conti, però, questa acquisizione sul medio – lungo periodo, forse, sarà dannosa anche per il Trentino: perché contribuirà a consolidare un modello di sviluppo orientato esclusivamente alla dimensione commerciale e industriale a mezzo di un mix di denominazioni extraterritoriali, che costituisce la sorgente di valore necessaria per remunerare dignitosamente la viticoltura cooperativa trentina. Un meccanismo di creazione di valore a garanzia del reddito contadino, che tuttavia, nasconde e dissimula la fragilità della viticoltura territoriale, almeno per come è stata impostata fino ad oggi.