La zona è quella a nord di piazzale Loreto, quella Nolo, acronimo di Nord Loreto, che secondo qualcuno diventerà uno dei nuovi centri della vita milanese; e forse lo sta già diventando. Una zona dove i milanesi si mescolano con gli extracomunitari, dove l’italiano è la koiné che permette alle badanti peruviane di capirsi con i commessi cinesi. Anche questo è un territorio che resiste; un territorio urbano che si trasforma, mantenendo il suo carattere popolare e la sua umanità.

In quella via un tempo abitava mia nonna, in una casa stile Vecchia Milano, con le ringhiere e le porte delle case affacciate su un cortile, con i bagni ricavati da un angolo del salotto, perché un tempo il gabinetto era in comune tra tutti gli occupanti del ballatoio e il bagno in casa è stato l’ultimo arrivato. Era stata cuoca, mia nonna, ed era immigrata anche lei, arrivava da Comacchio: ricordo ancora i profumi dei suoi piatti di pesce.

L’osteria della Stazione si trova appunto qui, a ridosso della Stazione Centrale, dietro le massicce arcate che ospitano magazzini e gallerie. Poco più in là, viale Monza e poi via Padova. Il locale è rustico ma curato, ha l’aria di uno di quei posti dove si mangia bene senza svenarsi. È una delle quattro location in cui i vignaioli toscani della FIVI hanno deciso di presentare, in contemporanea, i loro vini a Milano.

Ci sono poche cantine e non molti partecipanti, cosa che tutto sommato non mi dispiace. C’è un clima familiare, quasi di ritrovo tra amici. Si riesce a scambiare due parole con i produttori e con gli altri appassionati.

Comincio da Rascioni e Cecconello, vignaioli in Maremma Toscana. Producono da quarant’anni ciliegiolo in purezza. Il Rotulaia 2016 è un ciliegiolo 100% piuttosto giovane. Il profumo della ciliegia lascia spazio a poco altro, i tannini sono un po’ verdi, può fare con vantaggio almeno altri 2 o 3 anni di affinamento in bottiglia secondo me. Costa 10 euro in cantina.

Il Poggio Ciliegio 2013 ha fatto due anni in barrique vecchie di due o tre anni: questo fa sì che il legno non esca troppo prepotente. Leggera vaniglia, confettura di ciliegia, leggero tabacco. I tannini sono decisamente più setosi. Nei taglieri a disposizione del pubblico c’è del pecorino di Pienza e direi che l’abbinamento più che riuscito.

Diegale propone il metodo classico pas dosé Cuordicru, Chardonnay 70%, Pinot nero 30% che fa 36 mesi sui lieviti.

Profumo di fiori gialli, poi anche di crosta di pane. E spunta anche il ricordo delle brioche, o della treccia di sfoglia con l’uvetta che mangiavo da piccolo. Un metodo classico fresco e abbastanza sorprendente. 24 euro in cantina.

Il Pinot nero rosso Diegale 2014 fa due anni in legno, parte in tonneau e parte in barrique da 250 litri. Anche questo è un bel vino, con profumo tipico, di frutti rossi, lampone e una nota di mirtillo. Il finale è leggermente amarognolo. 18 euro in cantina.

La Salceta propone il rosato Osato (ma c’è anche una grande R sull’etichetta). Il profumo rimanda un po’ al ribes, ha note minerali, è leggero, quasi tenue, così come il gusto. Fresco in bocca ma un po’ troppo evanescente per i miei gusti, si potrebbe provare ad abbinarlo con primi delicati o con piatti leggeri a base di verdura.

Il titolare dell’azienda Podere dell’Anselmo ha portato due vini rossi, ma anche un rosato, un vinsanto e pure due o tre bambini che scorrazzano e saccheggiano con sguardo birichino i taglieri con il pecorino; infine un cagnolino, che provvede a fare sparire le croste del pecorino alla velocità del suono. Tutto questo rinforza l’impressione di trovarsi a un raduno di famiglia, più che a una degustazione. Meglio.

Il Rosé 2016 è intenso e profumato, con profumi di ciliegia e lampone, minerale; è a base di Sangiovese con un 5% di Montepulciano.

Il Terre di Bracciatica 2012 è un Rosso Toscano IGT composto da Sangiovese 85%, Cabernet 10% e Colorino 5%. Fa 12 mesi in barrique. Al naso sentori di prugna e tabacco, in bocca è morbido e giustamente tannico. Costa 12 euro in cantina.

Il Podere dell’Anselmo Ingannamatti riserva 2013 ha profumi di tabacco, cacao, confettura di prugna che tende alla prugna sotto spirito. È un bel vino, morbido e i tannini sono già setosi. 40 euro in cantina.

La Cantina di Statiano produce vini biologici. Il primo è il Montecastelli IGP 2016, sangiovese al 100%. È un rosso beverino, con un bel profumo di lamponi e tannini già abbastanza domati, nonostante la giovane età. Per ottenere questo risultato, dice la proprietaria, si è adottata una pratica di continui rimontaggi.

Il 2013 è un sangiovese 100% con bei profumi di frutti rossi, un po’ fragola e un po’ ciliegia. Sembra più maturo di quello che la sua età potrebbe indurre a pensare. Il vino biologico evolve più velocemente, chiosa la signora.

Torno al podere dell’Anselmo per il Vinsanto del Chianti DOC, unico vino dolce presente. Viene prodotto affinandolo in caratelli aperti di castagno, dove si ossida nel tempo e rifermenta tutte le estati.
Profuma di mele mature e fichi secchi, in bocca è dolce ma non stucchevole e conserva una bella acidità.

La gente sta uscendo o è già quasi tutta uscita; i bambini sono già venuti più volte a chiamare il papà per la cena. È ora di andare e lasciare che la serata in famiglia continui.