Fine anno a San Michele 1981- Con Rudy Buratti (secondo da sinistra in ultima fila), tanti volti noti dell’enologia trentina: Enrico Paternoster, Tiziano Tomasi, Luciano Tranquillini, Gianni Gasperi e tutti gli altri.

Sulla linea d’orizzonte di Castello Banfi, questa mattina nel freddo asettico di gennaio, una folla quasi sterminata si è stretta attorno alla salma di Rudy Buratti, il signore di Montalcino. Il signore del Montalcino. Stroncato crudelmente dalla malattia due giorni fa, a soli cinquantasei anni.
Fra i volti commossi e feriti dal dolore, anche quelli di qualche trentino: Paolo Inama, Tiziano Tomasi, Luciano Tranquillini. E qualcun altro, confuso fra la folla strordita da una tristezza senza fondo, che era già nostalgia. I compagni di scuola. I compagni di banco dell’Istuto Agrario di San Michele all’Adige..

C’erano anche loro, questa mattina, a dare l’ultimo addioa Rudy, il rude ed elegante – come sanno essere rudi ed eleganti allo stesso tempo gli uomini nati all’ombra delle alpi retiche – enologo nato in Trentino, che a cavallo fra il  secondo e il terzo millennio fece grande il grande vino toscano: il Brunello di Montalcino.
Rudy Buratti era nato a Comano, in provincia di Trento, all’inizio degli anni Sessanta e con decisione aveva intrapreso la strada dell’stituto agrario. Era uno dei tanti i giovani che uscivano dalla temperie degli anni Settanta, che per un attimo avevano trasformato anche Trento in una città al passo con la contemporaneità. « Eravamo figli della contestazione e non ci accontetavamo mai di imparare e di guardare avanti, di scoprire nuove strade, una nuova alba; anche noi volevamo dare l’assalto al cielo. E Rudy era già allora il migliore di tutti noi », così ieri lo ricordava Luciano Tranquillini, il compagno di banco degli anni di San Michele, durante il mesto rientro da Montalcino.
Dal Trentino, Rudy Buratti se ne era andato poco dopo i vent’anni. Un paio di vendemmie a Toblino e poi via. Via, via verso la Toscana, Siena, Montalcino. Castello Banfi, che allora stava esplodendo e stava cominciando a far conoscere il Brunello agli americani. Quindi a tutto il mondo. Verso il tempio di Montalcino lo aveva indirizzato Giulio Margheri, un ricercatore di laboratorio di San Michele, dopo aver letto la sua tesina sulla potenzialità e la dinamica dei polifenoli nel vino. Aveva capito che quel ragazzo aveva della stoffa e meritava la chance dei grandi orizzonti. Anche quella volta il vecchio professore di scuola ci aveva visto bene.
Aveva 22 anni quando arrivò sulle colline senesi e da quel giorno non lasciò più la Toscana. Ne divenne, anzi, un protagonista. L’incontro con Ezio Rivella, di cui fu braccio destro fino alla fine degli anni Novanta, lo proiettò nell’universo dei grandi dell’enologia internazionale. E fu così che Rudy Buratti, partito con lo zaino carico di sogni e di speranze dalla periferia del Trentino, divenne il signore del Brunello nel mondo. Ma questa è una storia già raccontata a piene mani anche in queste giornate dense di tristezza. E da domani diventerà materia di studio.
Di Rudy ora contano i ricordi degli amici. Come le parole rotte dall’emozione di Tiziano Tomasi, vignaiolo e ricercatore a San Michele: « Il successo e la sterminata competenza professionale di cui ormai era depositario in cui si mescolavano in egual misura sperimentazione, innovazione, curiosità, coraggio, invenzione e rivisitazione del passato non gli avevano mai fatto dimenticare le sue origini semplici. Davanti ad un bicchiere, ad un buon bicchiere, i suoi occhi si illuminavano e sussurrava con gentilezza: “Questo vino è come un cielo stellato”; era, il suo, lo stupore fanciullesco che si rinnova continuamente dinnanzi allo spettacolo di un disegno complesso che si rivela con semplicità. Nella semplicità »

Rudy era così. Resterà così. Per tutti. Poi, poi dopo, il Brunello, Montalcino, la Toscana e il Trentino. Ma prima, prima di tutto il Cielo Stellato. La complessità e la semplicità.