Fin dal primo giorno in cui il disastro della Colli Zugna si manifestò e fu esposto al pubblico ludibrio, mostrando apertamente il volume di fuoco di un’inaudita violenza di classe,  scrivemmo che la chiave di lettura, la cifra interpretativa, quella autentica, andava ricercata nel contesto. Mettemmo le mani avanti, fin da subito, giurando che ad appassionarci non era la caccia ai colpevoli. E agli innocenti. Perché eravamo, siamo, convinti, che la sporca faccenda di Mori – ma prima c’erano state quelle di Avio, di Nomi, di Isera – fosse figlia degli equilibri strutturali, e strutturati, del Trentino vitivinicolo cooperativo e industriale. Partorita dal modello di sviluppo e di creazione del reddito a cui sciaguratamente, a nostro parere, il Trentino si è affidato a cominciare dalla fine del secolo scorso.

Ci hanno rimproverato di essere dei complottisti. Ci hanno attribuito un disegno ideologico inverosimile e irreale. Ci hanno tacciato di essere nemici del Trentino. E fomentatori di odio di classe.

A darci ragione, a suffragare la nostra chiave interpretativa, con la lucida crudeltà di un raffinato manager multinazionalistico, tuttavia, è il presidente emerito di Cavit, l’ingegner Adriano Orsi, in un’intervista rilasciata non oggi, non ieri, non l’altro ieri, ma dieci anni fa: nel 2008. Quando la scenegggiatura della sporca faccenda di Mori – e di Nomi e di Avio e di Isera – era già stata scritta.

Buon ascolto. E buona visione,

Ma soprattutto buona cooperazione industrialista a tutti!