Raramente, e forse questa è la prima volta, scrivo del piccolo territorio dove da qualche tempo sono costretto agli arresti domiciliari. Non lo faccio, non scrivo di questo luogo, per opportunismo, perché almeno nel posto dove dormo, dove faccio la spesa, dove compero le sigarette, non voglio rotture di coglioni. Insomma, questo posto lo proteggo come si custodisce gelosamente un buen retiro. E per farlo bisogna cercare di essere invisibili.
Però, oggi una cosa voglio scriverla: è un peccato che questo luogo viticolo non abbia una sua denominazione di origine identitaria da spendere nell’universo bastardo del vino. E purtroppo, invece, venga diluito nella insignificante e caotica e sputtanatissima DOC Trentino.
É un pensiero che mi viene mentre, aspettando la mia consueta pizza serale (Hotel Miramonti, dagli amici Barbara, Francesca e Carlo), bevo un bicchiere, anzi due – che poi diventano una bottiglia – di Pendici del  Baldo Bianco, etichetta biologica della discussa (recentemente) Mori Colli Zugna.
La vendemmia è la 2016, ma il vino sembra imbottigliato da poche ore. Aggressivo, vivace, esuberante. Come sanno essere esuberanti i giovani. Con una sapidità vulcanica che raramente capita di incrociare. Il colore è scarico tendente al cartaceo, il naso è straordinariamente floreale di mughetto appena colto e di gelsomino appena sbocciato. Ma questo Pendici del Baldo Bio (e non so fino a che punto incida, positivamente, la tecnica agronomica orientata al bio) si rivela nella sua originalità in bocca: fresco, acuto, acido e allo stesso tempo pieno e denso. Ancora molto floreale come al naso e intessuto di una nervatura vegetale e aromatica tendente alla salvia e a timo che ne caratterizza la dimensione gustativa con una decisa spinta verticale. Insomma, lasciatemelo scrivere, un vino bianco da campioni, questo; prodotto da uve coltivate sulle pendici che arrancano dalla valle dell’Adige al Monte Baldo.
Ed è un peccato che un vino così, così buono, così originale, così distintivo si perda dentro la disapprezzata denominazione minestrone Trentino.
E allora mi permetto un suggerimento sotto voce (agli amministratori comunali, ai gestori del Parco Naturale, perché mi pare che da queste parte esista un Parco Naturale, almeno sulla carta): perché non pensare ad una Denominazione Comunale. Perché non provare a declinare fra queste pendici sventurate e disanimate, l’intuizione veronelliana delle DE.CO., sottraendo questo vino buonissimo all’ignominia della DOC Trentino?