I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia, rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo

[Mario Rigoni Stern]

Fare vino è attività ancestrale, ma oggi se non sei viticoltore 2.0, cantiniere o enologo, almeno sommelier o blogger specializzato non hai diritto di esternare. A parlare, se non sei del settore, resta comunque il vino che è ciarliero di suo. Senza farsi troppe mene, deve averla pensata così anche il geom. Camillo Pisetta di Gardolo (TN) cinquant’anni fa, fresco di diploma, ma fuori target. Al tempo, bei tempi, con un titolo di studio non era difficile trovare impiego e l’unico intoppo era la naja che andava fatta prima di tuffarsi appieno nel mondo del lavoro. E per non farla da naioni semplici si cercava una raccomandazione per il Corso allievi sottufficiali o ufficiali, ovviamente degli Alpini. Fu così che con altri 184 il nostro Camillo si ritrovò alla Scuola Militare Alpina di Aosta fra il più raccomandato di tutti – un sangue blu protetto da una nota papale siglata dell’allora Card. Segretario di Stato Jean Villot – e chi scrive, infilato all’ultimo da un vecchio maresciallo dell’esercito incaricato al ministero per la compilazione della lista. Quanto bastava.
Il 64.mo Corso AUC fu duro sul piano fisico e ancor più su quello psicologico. Il programma prevedeva il lavaggio del cervello al motto: avete voluto farvi raccomandare, allora morirete! Un pugno di compagni non resse e finì al neuro o in fureria al distretto di appartenenza. Tutti gli altri, dopo sei mesi di addestramento, ai reparti operativi a comandare plotoni. Due dei più cari, i sottotenenti Alberto Turrini e Franco Favini perirono disgraziatamente ancora nel ’72 in incidenti e altri 23 – troppi ad andare avanti – mancheranno in seguito per il solito male incurabile. La maggior parte, grazie al cielo, ha potuto dare il proprio contributo alla società civile, nella dirigenza pubblica o nell’imprenditoria privata. Un console onorario a Pechino, un ambasciatore in Bulgaria e Bielorussia, un presidente nazionale del CAI, un vice presidente e un tesoriere nazionale ANA e tanti altri a onorare una carriera di lavoro, qualcuno anche nel mondo vitivinicolo. E qualcuno come Camillo, che ha temperato lo stress dello Studio Pisetta, col gusto di coltivare part time la vigna paterna con le varietà che ha trovato, di Lagrein, Marzemino e Rebo. Scarsa la quantità, conveniva vinificarle assieme, quelle uve, e sperare in un buon risultato.
Fu così che preparando in caneva l’adunata di Trento, con giusto orgoglio ha prelevato dalla piccola catasta una bottiglia del suo rosso. I ballon erano quelli giusti e il vino non ha deluso, anzi, in quattro s’è finito presto. I discorsi di naja alpina hanno lasciato spazio all’orgoglio di quel nettare che parlava da solo, netto nei profumi, ritto nel corpo. Bocca pulita, fragranza e calore di stomaco, desiderio di rabboccare il calice. Che pretendi di più? Me ne vendi qualche bottiglia? Quanto vuoi? Cinque euro. Ma sei matto? Non svilirlo, ne vale almeno dieci! Ma dici sul serio? Certo che sì!
Ne ho prese dodici, a cinque, si sarebbe rifatto cedendo le altre a dieci. O più.
Da lì all’etichetta-ricordo per i colleghi dell’Adunata il passo è stato breve, mera questione tecnica completata da una retro che recita opportunamente: I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia, rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla la bottiglia. (Mario Rigoni Stern).

Da non conservare, ma gustare in amicizia.