Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l’ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perchè hai tardato tanto?

Nazim Hikmet


L’altro giorno ho festeggiato, si fa per dire, il mio compleanno con Giuseppe, uno degli ultimi amici che mi sono rimasti. E con una magnum di Dolomiti Largiller 2010 Produttori di Toblino (13 vol.), uno dei pochi vini trentini che meriterebbero di essere portati su un isola deserta per farci all’amore tutta la vita. Almeno per quel pezzo che ancora resta.
E mi sono immalinconito. Come oramai mi capita sempre più  frequentemente.
Ho provato la malinconia (incazzata) che si prova davanti alla dimostrazione concreta, questa bottiglia, che la tua terra è (potenzialemente) una terra di grandi vini (anche bianchi). Ma che qualcuno – gli industriali cooperativi – ostinatamente e dolosamente tiene inchiodata alla produzione massiva di vino merce. Di vino senza territorio. Di vino senz’anima. E tutto sommato anche a scarsa marginalità.
Dopo otto anni, infatti, questo cru Nosiola che prende il nome dall’omonimo vigneto della Valle dei Laghi, appare in splendida forma. Anzi in forma stratosferica. E allora ti chiedi come cristo si fa a sputtanare questo vitigno in un vino da pronta, e altrettanto insoddisfacente, beva, come quello che generalmente sei abituato a trovare al supermercato nella pretenziosa bottiglia renana e di solito a prezzo scontatissimo? Si fa, si fa: i manager industriali quando si tratta di bestemmiare il territorio sanno essere efficientissimi. Ed efficacissimi.
Perché questo vino autoctonissimo, di cui ormai si sono perdute le tracce – negli anni Ottanta il vigneto di Nosiola rappresentava circa l’1 % del campo vitato: oggi è circa la metà e stiamo ragionando di poche decine di ettari, concentrati per lo più in Valle dei Laghi ma anche in Vallagarina e sulla colline di Trento e quelle Avisane – perché questo vino, dicevo, fa la fine che fa, a parte naturalmente qualche lodevolissima eccezione come questa e qualche altra?
Ma non voglio immalinconirmi (e incazzarmi) di nuovo. E allora provo a raccontarlo questo vino. Le prime vinificazioni di Largiller risalgono, mi pare, al 2007: la firma allora, come oggi, quella del bravissimo winemaker di Toblino: Lorenzo Tomazzoli. L’uva è raccolta  dalla pergola trentina con lieve surmaturazione e segue la strada della macerazione a freddo. Poi resta cinque/sei anni a maturare in legno grande. A distanza di otto anni dalla vendemmia, oggi il vino sul serio mostra il carattere del grande vino. Strutturato. Come non ti aspetteresti. Il colore paglierino indora il bicchiere e appena lo porti al naso si esprime in un ventaglio incredibile di sensazioni. Sbuffi burrosi che si intrecciano con linearità e coerenza con note di agrumi e di susina matura. E poi i fiori della ginestra e quelli della camomilla. Un naso, insomma, complessissimo amalgamato da un sottile e delicato miele, forse d’acacia. La nocciola e la noce le senti in bocca, adagiate su un tessuto fresco e petroso. Ma torna ancora il senso del burro e quello della vaniglia, indotta dalla lunga permanenza nel rovere da 30 ettolitri. E poi ancora una polpa carnosa di pesca gialla matura e di albicocca che si mescolano in un finale graziosamente ammandorlato.
Una grande bottiglia per un vino che resiste al tempo. Per un vino di #territoriocheresiste
In cantina ne resta un’altra, annata 2007; ma non credo di riuscire a conservarla fino al prossimo compleanno.