A Grazzano Visconti c’è Verde Grazzano, e mi tocca. Tentar di sottrarsi vorrebbe dire non un pietoso e conclusivo divorzio, ma lunghe torture la cui sola idea la mente non regge.

Però però, lì vicino ci sono i colli piacentini. Quasi quasi. Barbera, Croatina o Bonarda, Malvasia. Pieghiamoci alla dittatura del giardinaggio e compensiamo con una sosta in cantina.

Prima cantina, La Tosa. Cantina nota, fanno anche quel vino lì, quello famoso o quasi, quello che c’è sull’atlante dei vini. Uno dei due titolari sta preparando la sala nella sezione dell’agriturismo. Chiedo se si può degustare qualche vino, ci dice che no, si degusta solo su prenotazione.
Peccato, ero curioso di assaggiare quel vino, ma tant’è, se non si può non si può: ne compro una bottiglia, prima o poi lo assaggerò. Poco prima di pagare, mia moglie mi denuncia come sommelier (in genere non lo faccio): la cosa mi frutta un dieci per cento di sconto.

Sul bancone dell’agriturismo vicino al lavandino, vedo mentre sto uscendo, c’è una bottiglia aperta proprio di quel vino, chiusa con tappo sottovuoto. Ma se non si può degustare, non si può, facciamocene una ragione, anche le bottiglie aperte devono restare chiuse.

Seconda tappa, Luretta, Castello di Momeliano. A prima vista non c’è un cane, per meglio dire c’è un gatto un po’ scheletrito che miagola. Comincio a temere che il mio sabato volga al peggio: poi, scoviamo l’entrata.

Una sommelier ci apre la porta e ci introduce in una sala ampia, con una bella vetrata panoramica. In un angolo c’è una magnifica affettatrice Berkel rossa, di quelle che si vedono in qualche salumeria ben curata, con salumi e insaccati a contorno.
Probabilmente serve per le cene, visto che la cantina fa anche ristorante. C’è anche qualche pezzo di torta.

La sommelier ci chiede che cosa può farci assaggiare. Ho letto che producono un metodo classico interessante e partiamo con quello. È un blanc de blancs 100% Chardonnay. Elegante, si sentono note di frutta gialla matura, una leggera vena minerale, fiori bianchi, lievito appena accennato.

Il rosé “on attend les invitées” è 100% Pinot nero. Color buccia di cipolla, ricorda il ribes, la crosta di pane emerge più netta (i 24 mesi di affinamento si fanno sentire), di nuovo un vino elegante ma con una struttura più importante.

Nel frattempo arriva la proprietaria che ci prende in consegna. Avrei gradito provare il pas dosé, ma temo di esagerare. Passiamo alla malvasia Boccadirosa, profumatissima di fiori di elicriso e di acacia, pesca gialla matura, uno sbuffo di minerale, fiori di arancio, salvia.

La signora ci chiede se vogliamo un po’ di affettati: mia moglie declina, io no, figuriamoci. Lei mette in funzione la mitica affettatrice e mi serve un piatto con quattro o cinque fette di coppa e due di salame, buonissime.

Ci chiede se vogliamo visitare le cantine, che sono le cantine del castello. Certo che sì. Cataste e pupitre ricoperte di muffa in un ambiente umido a temperatura pressoché costante; in una stanzina, insieme a millesimi incrostati di muffe senza tempo si affinano i salumi che ho mangiato poco prima. Le cattedrali del vino di Canelli sono molto più maestose, devo dire, ma queste cantine un po’ me le hanno ricordate.

Le rane” sono una malvasia passita, che la signora accompagna opportunamente con un pezzo di sbrisolona. Profumi di datteri, fichi secchi e altra frutta esotica disidratata, una leggera nota balsamica.

C’è anche una vetrina con rane di vario genere, porcellana vetro stoffa ceramica metallo … tutte portate dai clienti. C’è una rana in bronzo alta come me, opera di uno scultore danese che ha frequentato per un po’ la cantina.

Chiacchieriamo ancora un po’. Niente sconti per i sommelier qui, sconto flat 15% per chiunque acquisti in cantina.
Compero una cassa di vino e sono già pentito. Avrei dovuto prenderne due, anche solo per ricompensare dell’esperienza.