«La superficie boschiva del Trentino sessant’anni fa era molto meno estesa di oggi, o quanto meno di prima di questa terribile catastrofe e negli anni il bosco ha ‘mangiato’ prati su prati che un tempo erano utilizzati per l’allevamento. La nostra politica, però, soprattutto negli anni ’80 ha deciso di puntare su un modello di allevamento di tipo industriale simile a quello Veneto, con stalle medio grandi e finendo per importare il foraggio dall’esterno. In questo modo si sono, in parte, abbandonati gli alpeggi, e il bosco ha conquistato spazio. In Austria e in Alto Adige, invece, hanno seguito un modello diverso, quello dell’allevamento diffuso, con tanti piccoli proprietari, varietà di prodotti e maggior utilizzo dei pascoli».

F.to Michele Dallapiccola, consigliere provinciale del Trentino, su Il Dolomiti

Affermazioni di questo tenore cogitate e pronunziate da Michele Dallapiccola, che fino all’altro giorno sedeva sulla poltrona dell’assessorato provinciale all’Agricoltura senza che qualcuno se ne accorgesse, hanno un sapore umoristico. Anzi comico. Di più: farsesco. Alcuni numeri. Alto Adige: 100 mila capi in 12000 aziende zootecniche. Trentino: 50 mila capi concentrati in 1200 aziende zootecniche.

Non saranno i nuovi pascoli, prodotti dallo schianto delle aree boschive avvenuto nei giorni scorsi a causa dell’ondata di maltempo, a rimodulare la zootecnia trentina, oggi spintamente massiva e industrializzata, verso un modello alpino, fondato sul principio dell’allevamento diffuso e legato al territorio di montagna. E non potranno essere prese sul serio le proposte da tavolino del bar dello sport di questo ex assessore che per cinque anni si è profuso quotidianamente e con tutte le sue energie a spalleggiare i trasformatori industriali e cooperativi del latte. E dell’uva.