Nessuna pianificazione, per quanto attenta, potrà mai sostituire una bella botta di culo.

(Arthur Bloch)

E di botta di culo si tratta, perché altro nome non può avere, altra dizione non renderebbe l’idea, quel che mi è capitato l’altra sera. Arriva sotto forma di messaggio WhatsApp sulla chat dei sommelier Fisar e, come spesso accade con tali botte, è da prendere al volo.

Ogni tanto capita tra i sommelier, a chi la può cogliere e a chi la sa cogliere, qualche bella occasione; questo giovedì dev’essere qualcosa di speciale, prima è arrivata un’offerta di lavoro da uno chef stellato, di quelli che ogni tanto si vedono in televisione: ma bisognerebbe avere un po’ di esperienza di sala e io poi un lavoro ce l’ho, mi piace pure, e sono anche troppo vecchio.
Ma non divaghiamo, torniamo alla mia, personale, botta di culo.

Non si tratta di un lavoro da uno chef stellato ma di un più abbordabile e meno impegnativo servizio, all’Accademia del Vino WSET, roba di un paio d’ore di lavoro. Il rimborso spese è interessante e a fare servizio io mi diverto.

Così arrivo e scopro che la serata è una degustazione di Pinot Nero condotta da Flavio Grassi, giornalista e WSET Certified Educator: uno dei pochi italiani, mi si dice, che stanno affrontando il percorso per diventare Master of Wine.

La serata parte con un’introduzione sul vitigno e i sentori eleganti di legno, oltre ai tipici profumi del Pinot Nero, del Stroblhof Riserva Blauburgunder 2015, poi ancora legno – rovere americano – che oltre ai frutti rossi è più presente nel Domaine Drouhin, che a dispetto del nome viene dall’Oregon.

E a proposito di Oregon Flavio racconta di Sideways, il film che per via di una scena in cui il protagonista magnifica il Pinot nero fa da spartiacque per i produttori, che non dividono più le ere tra AD e BC ma tra “after the film” e “before the film”: il film, e basta, nominarlo non serve.

Così il Pinot nero, così difficile da allevare, che teme il freddo ma anche il caldo, con la buccia sottile e attaccata facilmente dalle muffe, che richiede una cura costante, questo vitigno dicevo, spinto dal mercato americano è dilagato nell’Oregon ma anche in altre parti del mondo dove prima non c’era.

In Patagonia, per esempio, troviamo Barda, un po’ più ruvida nella sua interpretazione del Pinot nero annata 2016; e poi finalmente a casa, in Borgogna, sempre dallo stesso Drouhin di prima che dalla Francia ha colonizzato uno scampolo di Oregon. Il suo Pinot noir 2017 è una bella bottiglia, ma dalla Borgogna ci si aspetta di meglio.

E il meglio arriva, con lo splendido Nuits-St-Georges Les Chaliots Rouge 2015, da Vosne-Romanée. I profumi si fondono e si confondono, è un sorso denso e appagante, un gran bel vino.

Il Gamay, il malvagio Gamay espiantato per editto dalla Borgogna nel 1300 ed esiliato a sud, nel Beaujolais si riscatta nel Moulin a Vent di Georges Brun. Certo è un po’ un tornare indietro, rispetto al Nuits-St-Georges, ma la malvagità è scomparsa.

Scompaiono uno ad uno anche i convenuti e scompaio anch’io. Rimane il ricordo di una serata bella, interessante e piacevole. Una botta di culo, insomma.