Nel millennio dei social, degli acquisti on line e delle chat più o meno lodevoli, lo stomaco ha il sopravvento. Dovunque trovi cuochi e cucine, ignote persone ammiccanti e degustanti (tipo il famoso “tonco” nero), pareri, ricette, e sorprese a gogo.

Il vino? Un sottofondo. Perché si sa, calano i consumi, le preferenze del pubblico slittano, i vini rossi quasi in calo, bianchi e frizzanti naturali in ascesa.

In questo panorama la norma di tutti è però lo “stile”, quindi perfezione nella cottura e presentazione, abbinamenti da favola, degustazioni da mille e un notte.

Il cibo – una volta destinato a nutrire sano chi lavorava forte – è toccasana virtuale delle cucine in acciaio lucente, apostasia dei surgelati (che segretamente funzionano sempre), del connubio a volo di rondine con vini di origini più a meno note.

Nel panorama elegante, dei top men, women gourmet e wine supporter, questa notizia può interessare: le colline prosecchiste di Conegliano e Valdobbiadene ottengono il riconoscimento UNESCO  e diventano patrimonio universale dell’umanità. 

In fondo non male questa veneta intraprendenza a fronte di chi va ancora a caccia dell’orso, di chi va in altalena fra il MART e le Albere e non chiede le opportune sovvenzioni allo Stato per fronteggiare il dissesto geologico; perché… perché in fondo noi siamo quelli di sempre: aspettiamo sempre una risposta dagli altri.

Torniamo a noi: i cuginetti veneti hanno preso per la seconda volta la palla al balzo sulle tracce del Piemonte e delle Cinque Terre Liguri.

L’Unesco ha detto sì, raccomandando tuttavia comportamenti restrittivi in tema di agrofarmaci e colture estensive in aree non vocate.

Il vino trentino, invece, resta sempre circondato a nord dall’Alto Adige e a sud/nord est dalla solita Repubblica di Venezia.

Il nostro desiderio di eleganza, rarità, tradizione è pensiero dominante, ora generazionale ma forse non è proprio così: il pensiero dominante può essere quest’altro.