Un vino affilato, fresco e sapido; “un vecchio marinaio che, anche quando si allontana dal mare, lo guarda con nostalgia”. Il Vermentino, un vitigno sano che ama il caldo, è stato protagonista di una serata di degustazione organizzata da Fisar Milano, con Vermentini di Corsica, Sardegna e Liguria. Mancava la Toscana, ma già così era un gran bel panorama e in fondo nove vini non sono pochissimi.

Il Vermentino (anzi, Vermentinu) in Corsica è allevato dappertutto, l’AOC più importante è la Patrimonio. In Liguria è presente in quattro delle otto DOC. Il Vermentino di Gallura è il DNA della Sardegna, dove il vento di Maestrale asciuga i grappoli e porta i sentori di iodio. È un vino che ha un’acidità maestosa. Facilmente, in quasi tutti i Vermentini, si ritrovano riflessi verdolini al colore.

Detto questo, si comincia con la Corsica. Il Vermentinu è quasi introvabile; i produttori lo stesso, non si fanno trovare al telefono, e se si trovano non parlano di vini, così come non ne parlano sui loro siti (più facile che parlino dei loro bed & breakfast con piscina vista mare) ma, dice Federico Latta citando un mio post su Facebook, “abbiamo avuto un colpo di gomito” e c’è chi è stato in Corsica portando le preziose bottiglie.

Il clima è mediterraneo, montagne e vallate creano microclimi diversi e i venti non consentono l’allevamento della vite sopra i 400 metri slm. Anche il terreno presenta diverse composizioni.

Terra Vecchia/Clos Poggiale ha due nomi perché ha due vigne. Questa sera abbiamo Clos Poggiale AOP Corse 2018, con sentori di pesca, pera, macchia mediterranea, fiori d’arancio, nespola, buccia di limone. Personalmente sento la pietra focaia e un po’ di idrocarburo, ma sono caratteristiche che troveremo molto più nettamente in altri vini.

Acidità e sapidità sono molto marcate, saranno denominatori comuni tra i vermentini, in particolare questa bellissima freschezza e buon corpo.

In bocca rimane una nota di buccia di limone e la nota alcolica, che emerge anche più di quello che ci saremmo potuti aspettare da un vino con 12,5% di alcol in volume.

De Catatelli vinse la prima medaglia d’oro per la AOC Patrimonio nel 1950. Il vigneto è a ridosso del mare, la cui vicinanza mantiene sane le uve. “Avere vigneti sul bordo dell’acqua è qualcosa di molto raro. E molto sano. L’aria di mare purifica la vigna, dà al vino un sapore particolare. “

La vinificazione è tradizionale in acciaio, con produzione limitatissima.

Il vino, Patrimonio AOC Vermentinu 2018, è molto trasparente, quasi scarico di colore, con la solita unghia verdolina; ha bisogno di un po’ di tempo per aprirsi. Si avvertono note che ricordano la vaniglia, quasi burrose, dovute non al legno ma (probabilmente, vai a sapere, il produttore non dice nulla) alla malolattica; poi agrumi, iodio, frutta a polpa gialla, grafite, gesso, poi basilico e salvia compaiono quando il vino si è un po’ scaldato, pera matura. Anche qui grande acidità, un po’ inaspettata dopo l’analisi olfattiva; c’è comunque un po’ più di morbidezza del precedente e l’alcol è più “vestito”.

Domaine Pero Longo. Nel 1994 estirpa tutti i vitigni e pianta autoctoni sardi: Vermentinu, Niellucciu, Sciaccarellu (“Bisogna saper ascoltare ed osservare la natura. I vitigni locali non si trovano qui per caso. Sono quelli più adatti al nostro territorio e producono i vini più interessanti”) e nel 2000 opera la conversione biologica, con vinificazione naturale e tecniche biodinamiche. Usa vasche di cemento a forma di uovo, che dovrebbero favorire la creazione di flussi delicati che consentono la risospensione delle fecce fini. Ciò dona al vino, secondo il produttore, maggior pienezza e rotondità.

Di Pero Longo degustiamo Sérénité 2018, AOP Corse Sartène. Il colore è più intenso. Vengo investito all’inizio da una ventata di caffè, anzi di cappuccino per la nota burrosa in sottofondo; non sono l’unico che la sente, l’allucinazione olfattiva è da escludersi. Poi il caffè se ne va, lascia il posto alla crema di limone, vaniglia, frutta tropicale, pesca gialla, talco, grafite ed elicriso, mente piperita, un po’ di miele. Molto morbido e comunque fresco; la sensazione di calore in bocca è in linea con la gradazione alcolica.

Liguria.

Terre Bianche, a Dolceacqua. Sono partiti a fine ‘800 con il Rossese, hanno differenti vigneti con differenti composizioni dei terreni, argilla azzurra e argilla rossa per i vigneti del Vermentino. Il Vermentino Doc Ponente 2018 ha ricevuto vari premi. Anche qui produzione molto limitata, a volte li andate a trovare e hanno finito il vino.

Il colore qui è più intenso, paglierino con riflessi verdolini appena accennati. Il naso richiama più la terra che il mare, i cespugli, il lemongrass, la salvia. La mineralità richiama più il granito che non lo iodio. In bocca ha un’acidità molto agrumata, verticale, secca. Ha corpo e alcool, non è un vinello. Il profilo aromatico è più leggero. È una vera espressione del ponente ligure, che rispetto al levante ha vini più freschi.

La cantina di Ottaviano Lambruschi è sui colli di Luni. Produce due Vermentini diversi da due vigneti, Maggiore e Costa Marina.

Costa Marina 2018 è il vigneto più vicino alla costa tra i due. Il colore verdolino comincia a scomparire, nonostante sia la vendemmia più recente. La parte minerale è quella che si presenta per prima al naso, con sentori diversi rispetto ai Vermentini precedenti, un ricordo di salmastro, di mare, di olive in salamoia. Poi la parte agrumata, poi la pesca, la mela. Si può percepire un accenno di idrocarburo, un’idea di zolfo; sicuramente la parte minerale è molto evidente.

In bocca è il vino più strutturato che si sia provato nella serata, anche con buona acidità. La salinità è bene integrata. Acidità, alcol, corpo lo rendono un vino con un bell’equilibrio.

La nota amaricante è una costante del Vermentino, che abbiamo un po’ tralasciato finora. Ma c’è una correlazione forte tra sapidità e finale amaricante; c’è da dire che è un amaricante che facilita la beva, pulisce la bocca. Ma c’è da stare molto attenti con gli abbinamenti (in questo caso, per esempio, un pesce al forno, o una pasta).

L’annata 2017 è stata un’annata molto calda, che ha un po’ “ammazzato” l’acidità, una bandiera del Vermentino.

Giacomelli, sempre Colli di Luni, sempre Liguria di Levante. Pare che Michelangelo cercasse i suoi marmi in queste zone, al punto di creare una diga sul Magra con i suoi detriti. L’intervento dell’uomo (e che uomo) testimonia e modifica il territorio.

Il loro Giardino dei Vescovi 2017 Vermentino Colli di Luni è l’unico vino della serata che fa legno, e si sente. È il vino più rappresentativo della cantina, ma non c’è sul sito. Ah, marketing e comunicazione, dove siete?

Il colore è diversissimo, non che sia sparito il fatico verdolino ma il cuore è dorato, un curioso blend di colore. Anche il naso è particolare, tra note di smalto, frutta tropicale, agrumi (un mandarino un po’ tardivo), note vegetali particolari: c’è chi propone il bambù cinese. Pochi però ci si ritrovano: la maggior parte, come me, lo considera cibo per panda e non lo ha mai assaggiato, si vede. Poi sentori di iodio, che il legno non ha portato via e sensazioni balsamiche, idrocarburo.

Il legno, probabilmente sempre lui, conferisce una sensazione vellutata, cremosa e complessa, al naso.

In bocca ha un buon corpo, acidità elevata nonostante il legno e l’anno di invecchiamento in più, buona persistenza. L’alcool si sente nel retrolfattivo, comunque ben presente; forte la parte amaricante. Per abbinamenti possiamo pensare a un pesce in salsa o un “cappon magro”, piatto tipico ligure a base di pesce che non c’entra niente con il cappone, insomma con accompagnamenti tali da poter reggere l’alcolicità di questo vino. E se l’abbinamento non lo trovo, che diavolo, me lo bevo da solo.

Passiamo alla Sardegna.

Tenuta Ledda, due vigneti: Mejlogu e Gallura. La cantina era una grande realtà che a un certo punto della sua storia aveva dovuto chiudere, fino all’incontro con l’enologo Tachis che li ha convinti a rimettersi a fare vino.

Azzesu – Tenuta del Vulcano Pelao 2017 Vermentino di Sardegna DOC. Il primo sentore che si avverte nel vino è proprio il sulfureo, questo odore di pietra focaia che richiama il vulcano e compare l’idrocarburo. E poi una nota speziata particolare, di cumino.

L’acidità è molto più contenuta di quel che ci si poteva aspettare, per via dell’anno di produzione. Un vino molto caldo, da un’annata calda, meno verticale dei 2018, più equilibrato ma anche un po’ meno tipico.

Capichera. Cantina blasonata, che non dà molte informazioni – non invidio chi ha dovuto preparare la serata, sembra un vino da cospiratori questo Vermentino. È stata la prima cantina comunque ad affinare il Vermentino in barrique.

Vign’Angena 2017, Vermentino di Gallura DOCG, “vigna straniera”, dato che non era di proprietà di Capichera.

Al colore è decisamente scarico, paglierino. Al naso erbe aromatiche, miele, glicine, ginestra, note agrumate di pompelmo rosa, note balsamiche che conducono tutte le sfaccettature in un insieme molto elegante. Spezie, cumino anche qui. Non un vino dal naso prorompente ma molto elegante. Alla bocca è altrettanto elegante, con acidità e alcolicità ben vestite, con la solita nota amaricante alla fine.

Un vino un po’ più di rottura rispetto agli altri, creata consapevolmente con la tecnica enologica.

Vigne Surrau, ad Arzachena. Una cantina molto bella architettonicamente, sette zone diverse per i vigneti.

Produce lo Sciala V.T. 2016, Vermentino di Gallura DOCG. Vendemmia tardiva, stesse uve dello Sciala “base” ma raccolte più tardi. Fermenta in legno, acciaio e cemento, poi matura in solo acciaio e cemento. Al colore finalmente abbandoniamo il verdolino, il colore è paglierino con riflessi dorati. Al naso ha una bellissima complessità, erbe aromatiche, albicocca, miele, frutta tropicale, cedro candito, parte minerale più sulle note dl talco e della grafite non sullo iodio e una sensazione burrosa: un vino un po’ diverso da quelli provati in precedenza. Idrocarburo, come sentori potrebbe richiamare un poco un Riesling, uno Spatlese.

In bocca ha un’acidità sorprendente, nonostante la morbidezza e l’alcol che la attenuano. Non è così persistente come si potrebbe pensare da quanto provato al naso.

Mi torna in mente uscendo un amico del mio stesso corso di sommelier, entrato nella leggenda grazie al Vermentino. Allo scritto, in un quesito dove era richiesto l’abbinamento con un menu di pesce, aveva proposto tre Vermentini: uno per l’antipasto, uno per il primo, uno per il secondo. Non ricordo dove avesse piazzato quello di Gallura, quello di Luni e il Maremma toscano ma insomma erano quei tre; all’orale però, giorni dopo, non aveva saputo dire la differenza.

Ecco, sarebbe stata la serata per lui. Ma non c’era.