Chissà perché, noi consumatori mediocri e modesti e un poco praticoni, siamo abituati a pensare al Merlot quasi come ad un vino di seconda categoria. Almeno nel nord est. Forse a causa dello scempio – bottiglioni, di cui nei decenni passati qualche – soprattutto uno – discusso industriale veneto si è reso protagonista. Criminale protagonista.
E il risultato è che anche in Trentino le uve Merlot sono fra le meno remunerative: negli ultimi cinque anni sono state pagate ai viticoltori mediamente fra i 65 e gli 80 euro /quintale. Poco più delle ancor più neglette uve Schiava e Ambrusca. E il vino che se ne trae oggi sul mercato all’ingrosso vale fra 0,80 e 1,25 euro litro (fonte Cam.Com)
Poi, d’improvviso, in un pomeriggio di fine settembre ti capita di fare merenda, con un compagno di merende e con una bottiglia come questa (IGT Dolomiti 2014 – LETRARI) e ti si scalda il cuore. E riprendi fiducia nel futuro; anche nel futuro del bistrattato Merlot. 


Il bimillesimo è il 2014, il vino è caldo, prodotto con uve della della Valdadige meridionale, il colore rubino intenso è brillante come il sole che trafigge quella vallata. Il profumo è persuasivo di frutta sciroppata alla prugna. Quelle note erbacee e amarognole che talvolta rendono il vino di questa varietà poco amicale e un poco astioso, in questa bottiglia assumono, al contrario, un valore positivo e ammiccante. Un risultato, credo, ottenuto grazie all’uso sapiente del legno piccolo. Che, sorprendentemente, non si sente, ma che si amalgama perfettamente in un tutt’uno con il vino. Regalando un’incantevole e asciutta morbidezza senza sbavature. Mentre la bocca si riempie ancora di sciroppo di prugna nera che si tempra in una sensazione di rabarbaro vanigliato che si chiude in piacevolissimo finale amaricante.
E poi, dopo mezz’ora, la bottiglia è finita.
E anche la merenda.