La notizia, della porcata, è questa: Provincia di Trento e Trentino Marketing, sotto la regia di Camera di Commercio, invitano le cantine a vestire la capsula delle bottiglie con il logo territoriale, la famosa farfalla malossiniana. Un po’ come capita, da tempo, in Alto Adige.

E allora, dov’è la porcata, direte voi? È subito spiegato: la capsula griffata potrà essere usata, chiaramente ed esclusivamente, sulle bottiglie che rientrano nell’alveo della denominazione di origine Trentino.

Stiamo parlando di quel centinaio di milioni, milione più milione meno, di pezzi che escono dalle aziende cooperative mediamente a due euro e sono destinate al mercato internazionale e alla grande distribuzione nazionale. Una gamma di vini dignitosi, ma che nessun bottegante di buon senso si sognerebbe mai di mettere in vetrina. Salvo che non sia di orientamento tafazzista. La farfalla, infatti, non potrà essere usata da chi imbottiglia con altre DOC (Rotaliano, per esempio) o con le IGT  ammesse sul territorio provinciale.

E allora? Continuerete a chiedervi e a chiedermi. Allora questa operazione produrrà un duplice, e nefasto, risultato: appiattirà, svilendola e svaporandola, l’immagine del Trentino sul vino di fascia medio – bassa, esponendo il territorio, che è un patrimonio collettivo e non una proprietà privata degli industriali agrari e dei commercianti globalizzati, ad una irrimediabile erosione di notorietà e prestigio. E allontanerà sempre di più il vino di qualità, e non solo quello dei vignaioli, dal Trentino.

Insomma la Provincia, con la complicità più o meno dolosa della sua agenzia di marketing e di Camera di Commercio, ha scelto di affidare un ruolo di ambasciatore territoriale non al San Leonardo del Marchese Gonzaga (IGT), non al Granato della Betta Foradori (IGT), non al Largiller dei cooperatori di Toblino e al loro Elimarò, non ai vini di Mario Pojer o di Marco Zani, non agli splendidi Teroldego della Cantina Rotaliana,  non all’esuberante Ritratto di La-Vis o al magnifico Maso Franch, della medesima coop, ma al Nosiola da due soldi e al Pinot Grigio standardizzato dei grandi imbottigliatori industriali. E questa, mi si perdoni il francesismo, è una porcata.  Bella e buona. Anzi brutta e cattiva.

Si tratta di un’operazione fumogena – perché oltre a buttare fumo negli occhi, gli occhi li fa proprio lacrimare di lacrimare amare – che fa il paio con i tavoli senza capo né coda imbastiti in Consorzio Vini del Trentino per fingere di avviare la procedura di riconoscimento di 4 DOCG, senza prima aver rimesso in ordine, seriamente, l’intera piramide delle denominazioni locali. Come questa, anche quella delle capsule con le ali della farfalla territoriale è un’operazione distraente e politicamente reazionaria che, di sicuro, giova a qualcuno (e non serve dire a chi), ma nuoce gravemente alla salute identitaria e al prestigio commerciale del Trentino. Più di quanto possano nuocere al territorio uno squadrone di profughi ghanesi o un esercito di vucumprà senegalesi. Ma di tutto ciò, gli amministratori leghisti che da un anno cazzeggiano fra uno slogan e l’altro in piazza Dante sembrano non accorgersene. O forse fingono di non accorgersene. Perché è comodo così. Perché è più facile prendere a calci nel culo un negro che provare a mettere, non dico mettere ma provare a mettere, due paletti due ai signori di Ravina e di Mezzocorona. E al loro cruento signoraggio sul cadavere del territorio.