Il vino di qualità e la reputazione dei distretti vinicoli hanno bisogno di pluralismo.
E questa volta a sostenerlo non sono Mario Pojer o Angelo Rossi o, nel suo piccolo, Cosimo Piovasco di Rondò: a sostenere questa tesi è Ruben Larentis, l’ideologo dello Stile Ferrari, in un’intervista a Francesca Negri pubblicata oggi sul Corriere del Trentino.
La sua analisi è centrata sulla denominazione Trento, ma se vale per questa, ancor di più vale per la Doc Trentino, tenuta in scacco da un sistema cooperativo che lega a sé, senza possibilità né di fuga né di impresa parzialmente indipendente, oltre il 90 % del vigneto e da un quadro legislativo e normativo locale, per esempio l’articolo 75 del regolamento urbanistico provinciale, che incapsula nella gabbia mezzadrile i produttori di uva, impedendone l’evoluzione verso una prospettiva di vinificazione.
Il pluralismo negato, in Trentino, è tutto in questi numeri (2017): In Italia si registra mediamente un’azienda che produce vino con proprie etichette ogni 13 ettari di vigneto. Nella Champagne ce ne è una ogni 6,5 ettari, nelle Langhe del Barolo siamo a 7, in Valle d’Aosta a 11, in Alto Adige a 22, in Fanciacorta a 26. Anche nei più prestigiosi distretti del vino veneto, si registra una significativa propensione al pluralismo imprenditoriale nel campo vinicolo: 19 ettari per produttore nella zona del Prosecco Doc, 23 in quella del Bardolino, 35 in Valpolicella, 26 nell’Asolo e 15 sui Colli Euganei. In Trentino, la profilatura vitivinicola si ribalta e si registra invece la presenza di una sola azienda produttrice di vino ogni 70 ettari di vigneto.